Con una nota diramata nella giornata di mercoledì, il ministero della Giustizia ha comunicato che il Governo avrebbe finalmente trovato la quadra sulla riforma della prescrizione, ovvero la riforma della riforma Cartabia che aveva riformato la riforma Bonafede che a sua volta aveva riformato la riforma Orlando che aveva riformato la riforma ex Cirielli sulla prescrizione. Come il gioco dell’oca, si ritorna alla sostanziale con qualche correttivo.



Proviamo a capirne di più. Il testo, già trasmesso alla Commissione giustizia della Camera, dovrebbe in tempi brevi essere poi portato in Parlamento. L’aspetto principale della riforma, come spiega la nota, è la previsione di una sospensione della prescrizione per 24 mesi dopo la sentenza di condanna in primo grado e per 12 mesi dopo la conferma della condanna in appello: se la sentenza di impugnazione non interviene in questi tempi, la prescrizione riprende il suo corso e si calcola anche il precedente periodo di sospensione.



I relatori del disegno di legge, i deputati Costa di Azione e Pellicini dei Fratelli d’Italia, hanno depositato l’emendamento che, nel recepire l’intesa raggiunta, cancella completamente sia la riforma Bonafede del 2019 che bloccava il termine di prescrizione dopo la prima sentenza, sia la riforma Cartabia del 2021 che, nel tentativo di mettere una pezza ma senza poterla cancellare stante la presenza dei 5 stelle al Governo, aveva introdotto al suo fianco il controverso meccanismo dell’improcedibilità, in base al quale, dopo il primo grado, non si sarebbe più estinto il reato ma il processo e ciò al superamento di determinati limiti temporali (un anno in appello e due in Cassazione). Il Governo in sostanza ha deciso di tornare al meccanismo della prescrizione sostanziale che estingue il reato, in tutti i gradi di giudizio, tornando di fatto a quanto previsto nel 2017 dalla riforma Orlando, inserendo i correttivi appena descritti di sospensione della decorrenza dei termini; correttivi che a loro volta destano qualche perplessità.



Cercando di semplificare il più possibile: come detto, si torna alla cara vecchia prescrizione di natura sostanziale che garantisce dopo un certo tempo il diritto all’oblio sicché dopo un tot di anni lo Stato non ha più il diritto di perseguire i cittadini che si sono potenzialmente resi autori di condotte penalmente rilevanti; rinuncia che non vale ovviamente per tutti i reati, come ad esempio l’omicidio che è reato imprescrittibile. Tuttavia, solo in caso di condanna dell’imputato, il termine di estinzione del reato, che per la maggior parte dei casi corrisponde al massimo della pena prevista più un quarto, rimane sospeso per un massimo di due anni dopo la sentenza di primo grado e per un massimo di un anno dopo la sentenza d’appello. Tale sospensione a tempo persegue lo scopo di fornire una sorta di bonus temporale al sistema giudiziario per provare a completare il processo; se però, attenzione, il tempo extra si esaurisce prima che arrivi la decisione del grado successivo, il “bonus” si azzera e così tutto il periodo di sospensione viene di nuovo computato ai fini della prescrizione. Lo stesso accade, come fortemente voluto dall’onorevole Costa, se la sentenza d’appello, pur arrivando nei tempi previsti, assolve l’imputato condannato in primo grado.

La formulata proposta del Governo prevede poi un allungamento dei termini per i reati di violenza commessi contro le donne, misura fortemente voluta dalla responsabile giustizia della Lega.

L’accordo raggiunto, che ha rivoluzionato il testo base a firma del forzista Pittalis che proponeva il ritorno secco alla legge ex Cirielli senza più nemmeno le sospensioni della Orlando, ha sicuramente il pregio di azzerare l’irragionevole previsione voluta dall’ex ministro Bonafede e la connessa riforma della Cartabia. Anche l’altra proposta, sostenuta dal viceministro azzurro Sisto, che era sul tappeto e che puntava a far scattare il blocco del termine non più dopo il primo grado ma solo dopo l’appello, è naufragata di fronte alla volontà del Governo di non far passare una linea troppo garantista che prestasse il fianco a strumentalizzazioni con accuse di non tenere conto della tutela delle persone offese.

L’emendamento che è stato varato dovrebbe quindi rappresentare nelle intenzioni del Governo un punto di equilibrio volto a garantire il ritorno nel nostro ordinamento della prescrizione sostanziale per tutti i gradi di giudizio, restituendo al sistema un istituto in grado di evitare al cittadino sotto processo di essere un eterno giudicabile, tant’è che anche dall’Alleanza Verdi e Sinistra sono arrivate parole di apprezzamento per la soluzione adottata.

La linea riformatrice ha certamente il pregio di eliminare le storture e le anomalie prodotte dalla riforma Bonafede ma naturalmente ci sarà da attendere il definitivo passaggio parlamentare prima di formulare prognosi dettagliate, benché allo stato sembrano da escludersi eventuali modifiche provenienti dal dibattito parlamentare.

Tre sono allo stato le riserve. L’entità dei periodi sospensivi appare eccessiva, probabilmente essi sono stati immaginati in questa entità per dare un segnale distensivo alla magistratura, ma sarebbe opportuno valutarne una riduzione. L’altro aspetto di perplessità riguarda la compatibilità con la presunzione d’innocenza di una fattispecie sospensiva prevista per le sole decisioni di condanna, non comprendendosi per quali ragioni l’imputato condannato dovrebbe meritare un giudizio più lungo dell’imputato prosciolto. Infine, se il testo diventerà legge nella attuale formulazione, si rischiano seri problemi derivanti dalla successione di leggi nel tempo. Il nostro ordinamento prevede la regola generale per cui ai processi in corso si applica sempre la norma più favorevole all’imputato, che nel caso di specie sembrerebbe poter essere propria quella in via di approvazione. Tuttavia, non si possono escludere incertezze applicative con il rischio di ulteriori rallentamenti processuali, contro cui a parole tutti dicono di volersi battere, specie in tempi di Pnrr. Questi cambiamenti continui determinano senza dubbio una perenne instabilità nella gestione dei tempi processuali. Il ritorno alla prescrizione dopo il primo grado obbligherà a stabilire, per i reati anteriormente commessi, quale sia il regime più favorevole, senza considerare il fatto che gli uffici giudiziari che si erano meglio organizzati e avevano calendarizzato le udienze con il regime dell’improcedibilità si potrebbero trovare spiazzati. Sarebbe pertanto opportuno prevedere un regime transitorio per ovviare a questo ultimo problema.

Certo, queste sono obiezioni tecniche, da addetti ai lavori. Ciò che deve essere ribadito è che il Governo ha inteso porre rimedio a uno sfregio fatto alla coerenza del sistema da una norma, la Bonafede, estremamente populista e del tutto avulsa dal sistema processuale.

Resta sullo sfondo la considerazione che la prescrizione dovrebbe essere, in vero stato di diritto, una norma poco applicata poiché pochi dovrebbero essere i casi in cui il sistema non riesce a celebrare in tempi rapidi il processo nei confronti di un cittadino imputato di un reato. La vera sfida resta quindi sempre la stessa, ridurre i tempi senza sacrificare le garanzie. E su questo la strada da compiere è ancora lunga.

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