Alle tante inchieste sui provvedimenti presi contro la povertà negli ultimi anni si è aggiunta un’analisi di Inapp che ha messo a fuoco nuovi elementi utili per chi deve decidere come intervenire per correggere quanto non sta funzionando. Anticipando la curiosità dei lettori diciamo subito che il Reddito di cittadinanza non fa una bella figura nemmeno questa volta.



L’analisi presentata in questi giorni da Inapp ha uno sguardo lungo e duplice. L’analisi parte dalla valutazione del Reddito di inclusione e prosegue con il Reddito di cittadinanza. Valuta tramite interviste il coinvolgimento dei beneficiari e svolge un’analisi dei presidi che devono assicurare la presa in carico dei soggetti assicurando i servizi di supporto necessari.



La fotografia dei beneficiari ci dice che vi è una netta prevalenza femminile. Le donne sole e/o con figli, con un’età media di 49 anni, sono il 60% di quanti hanno avuto prima il Reddito di inclusione e poi il Rdc. La distribuzione geografica è nell’insieme abbastanza equilibrata con una prevalenza del Sud di pochi decimi percentuali. La richiesta di cittadinanza italiana di almeno 10 anni rende bassissima la quota di beneficiari di origine extraeuropea.

I livelli di formazione e istruzione sono molto bassi per la quasi totalità degli aventi diritto a sostegni al reddito e anche fra quanti risultano occupati i i livelli di impiego sono con bassi o nulli profili professionali. I lavori in cui sono impegnati sono i cosiddetti lavori poveri che per la corta durata del lavoro o per il basso salario non portano il nucleo famigliare a superare la soglia della povertà.



Già da questi macro dati appare evidente che le cause dell’emarginazione di queste persone sommano alla povertà altri aspetti. È nella povertà della vita relazionale, nel basso livello di formazione e di istruzione, nella mancanza di lavoro o in stili di vita che determinano fragilità che vanno individuate le cause che contribuiscono a mantenere sotto il livello di povertà le condizioni di vita delle persone. La concessione di un contributo economico allevia sicuramente la situazione, ma non determina da solo un processo di cambiamento.

L’esperienza del Reddito di inclusione ha però indicato che per affrontare queste situazioni è indispensabile mettere in moto una rete di servizi territoriali capaci di assicurare un sostegno multidisciplinare per rimettere in moto le capacità delle persone.

La rete territoriale dei servizi ha mostrato anche una capacità di presa in carico delle persone molto più efficace del periodo successivo. I punti di accesso alla rete dei servizi del Reddito di inclusione erano assicurati dagli ambiti territoriali sociali e dai servizi sociali comunali. Assieme ai fornitori dei servizi, spesso enti del Terzo settore, avevano capacità di coprire il territorio e di avanzare un’offerta di servizi modulata sui bisogni presenti e già conosciuti.

Con l’avvio del Rdc la rete istituzionale di servizi che deve rispondere ai problemi dei beneficiari si è ristretta ai Centri per l’impiego. Ciò ha comportato un prolungarsi dei tempi di accoglienza. Fra l’avvio del Rdc a cura dell’Inps e la presa in carico da parte del Cpi passano mediamente 4 mesi e mezzo. Son quasi 6 nel Mezzogiorno e poco più di 3 al Nord. Come denunciato da più del 60% degli intervistati, ciò che manca è comunque anche il seguito dell’offerta di servizi. Dopo la presa in carico i passaggi si velocizzano per la definizione del patto di servizio e per la definizione di un’agenda di iniziative. L’efficacia resta però a livelli residuali e l’offerta di percorsi formativi e di offerte di occupazione ha interessato solo fra il 3% e l’8% dei presi in carico.

La fotografia offerta dalla valutazione delle reti dei servizi e dalle osservazioni dei beneficiari conferma la necessità di operare con nettezza una divisione fra gli strumenti offerti in risposta a chi è alla ricerca di un lavoro e chi deve la povertà a un insieme di condizioni di vita. Non è solo l’occupabilità la variabile su cui agire. Il basso livello di formazione e spesso i lunghi periodi di mancanza di lavoro rendono indispensabile che si costruiscano reti di servizi che accompagnino la proattivazione delle persone per riavvicinarle al lavoro. La territorializzazione degli interventi e la moltiplicazione dei punti di accesso alla rete dei servizi migliora inoltre la capacità di presa in carico e la capacità di offrire percorsi personalizzati.

Sono indicazioni importanti per chi sta proprio in questi giorni definendo come cambiare il Rdc. Non basta dividere fra occupabili e coloro che hanno altre problematiche di fragilità. La capacità di fare rete dei servizi è la via per migliorare l’efficacia delle misure economiche di risposta alla povertà.

A questa osservazione ne vanno aggiunte due che emergono ancora dall’indagine Inapp. La prima è l’operatività delle reti di comunicazione dati. Mediamente solo il 50% dei punti della rete Cpi, dei servizi sociali territoriali e del sistema informativo unitario dei servizi sociali è in grado di dialogare utilizzando le relative banche dati. Lo stesso dicasi della capacità di dialogo utilizzando i dati Inps che sono indispensabili per l’avvio dei processi.

Oltre al deficit di dotazione informatica si deve tenere conto di un deficit di quantità e qualità formativa del personale. Sia i servizi del sociale che i Cpi denunciano una carenza di addetti per gestire la nuova richiesta di servizi. Oltre alla necessità di avere l’immissione di forze operative servono profili professionali nuovi. Dopo un lungo periodo di servizi dove il personale era per lo più addetto a compiti di gestione amministrativa si tratta di passare a gestire reti digitalizzate e creare reti di servizi finalizzati a risultati occupazionali. Un salto di qualità che chiede pianificazione e chiarezza negli obiettivi.

Le risorse del Pnrr giustamente indirizzate possono assicurare la creazione della rete digitale e l’incremento del personale. Occorre chiarezza sul tipo di servizi che si devono realizzare per poter affermare che una politica di semplici sussidi si trasformerà in un processo di politica attiva contro tutte le cause di povertà.

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