La riforma del Reddito di cittadinanza (Rdc) sarà parte dei provvedimenti contenuti nella nuova Legge di bilancio che dovrebbe essere approvata entro il mese di dicembre. Rispetto ai propositi bellicosi annunciati dal centrodestra durante la campagna elettorale, la revisione dovrebbe essere limitata a una stretta delle erogazioni di una parte dei sussidi destinati ai beneficiari del Reddito di cittadinanza in grado di lavorare per via dell’età, con l’esclusione di quelli impegnati nel lavoro di cura dei familiari o in precarie condizioni psicofisiche, accertate preventivamente dai Centri pubblici per l’impiego.



Allo stato attuale non son sono disponibili ipotesi dettagliate, ma le anticipazioni circolate sulla stampa fanno intravedere la possibilità di sospendere, o di ridurre progressivamente, gli importi del sussidio per la quota parte dei beneficiari che nei 18 mesi precedenti non abbiano svolto attività lavorative o che abbiano rifiutato, sia pur legittimamente, delle offerte di lavoro nei limiti consentiti dalle norme. Queste novità dovrebbero essere accompagnate dall’obbligo per i beneficiari di accettare qualsiasi offerta di lavoro coerente con le loro caratteristiche professionali, pena la perdita immediata del sussidio.



I propositi di riformare le politiche attive del lavoro del Reddito di cittadinanza cercano di offrire una risposta al presunto effetto di scoraggiamento nella ricerca di una nuova occupazione generato dal sussidio pubblico denunciato da diverse associazioni delle imprese che lamentano un aumento delle difficoltà nel trovare manodopera disponibile soprattutto per i lavori stagionali e a termine. Ma la scelta di limitare l’intervento normativo solo per la parte dell’inserimento lavorativo, implementando le modifiche già introdotte dal Governo Draghi (la possibilità di rifiutare solo un’offerta di lavoro anziché due e un leggero decalage progressivo nel tempo degli importi dei sussidi percepiti), suscita molte perplessità, in relazione alla conclamata incapacità dello strumento di contrastare la crescita dei livelli di povertà.



Un esito favorito da alcuni errori grossolani nel definire i criteri di selezione dei beneficiari e di calcolo delle prestazioni, che hanno penalizzato la parte più significativa delle persone povere, in particolare le famiglie numerose con minori a carico e quelle straniere. E per la scelta politica di accelerare l’introduzione del provvedimento in assenza di un’adeguata predisposizione degli strumenti di verifica della correttezza delle informazioni sui redditi e sui patrimoni e delle prestazioni erogate da altre amministrazioni per la medesima finalità. In un recente articolo, a seguito di una valutazione degli esiti delle erogazioni del Reddito di cittadinanza comunicati dall’Inps comparati con la mappa delle persone povere descritta nelle indagini annuali dell’Istat, abbiamo cercato di suggerire un percorso realistico per la riforma complessiva del Reddito di cittadinanza.

Per valutare il potenziale impatto delle nuove proposte per politiche attive del lavoro del Reddito di cittadinanza è necessario partire da una valutazione degli esiti generati dalle norme attualmente in vigore. Il ministero del Lavoro e l’Anpal hanno diffuso periodicamente delle analisi sulle caratteristiche dei beneficiari del Reddito di cittadinanza in età di lavoro e tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro (Ppl) per la ricerca e l’accettazione di nuove offerte di lavoro.

L’ultimo bollettino (7 ottobre relativo ai percettori attivi al 30 giugno 2022) riferisce della presenza di 919 mila persone in età di lavoro, sul totale di circa 3,5 milioni di beneficiari dei sussidi appartenenti a 1,583 milioni di nuclei familiari. Escludendo le persone già occupate (172 mila), non occupabili per via degli impegni di cura verso altri familiari o in condizioni psicofisiche non idonee, il numero dei percettori vincolati a sottoscrivere i Ppl si riduce a 660 mila. Ma le probabilità di un inserimento lavorativo risultano ulteriormente ridimensionate da altri fattori: la scarsa consistenza dei percorsi formativi pregressi (il 70% ha un titolo di studio non superiore alla terza media); la quota ridotta (27%) delle persone che risultano titolari di una prestazione lavorativa nell’arco degli ultimi tre anni; la grande prevalenza della platea residente nelle regioni del Mezzogiorno (72%) dove è più ridotta la domanda di lavoro.

Il rapporto del Ministero mette in rilievo anche delle caratteristiche dei 172 mila beneficiari formalmente occupati con salari inferiori alla soglia di povertà che consentono l’integrazione con il Reddito di cittadinanza, il 53% dei quali risulta assunto a tempi indeterminato con orari ridotti e la quota rimanente impiegata con contratti a termine, di somministrazione e di collaborazione. Significativo il fatto che la quota degli occupati che percepisce l’integrazione del Reddito di cittadinanza risulti più elevata per la componente dei lavoratori stranieri (34%) rispetto a quella degli italiani (12%).

Il campione del primo semestre del 2022 conferma a grandi linee gli esiti delle analisi precedenti relative al numero complessivo di 2,100 milioni di persone in età di lavoro convocate dai Centri per l’impiego a partire dal secondo semestre del 2019. Nel passaggio tra la prima convocazione presso i Cpi e la concreta presa in carico degli interessati per individuare i percorsi di inserimento formativo e lavorativo, il numero delle persone occupabili risulta ulteriormente ridotto del 60%, con percentuali superiori nelle regioni del Mezzogiorno. Una parte significativa dei beneficiari in età di lavoro non è stata concretamente presa in carico nel corso della durata massima del sussidio (18 mesi).

I rapporti redatti non riferiscono degli esiti lavorativi dei percorsi formativi e/o di orientamento attivati dai Cpi, nemmeno il numero dei beneficiari cessati a seguito dell’inserimento lavorativo o sanzionati per via dei rifiuti delle offerte congrue o del mancato riscontro alle convocazioni dei Cpi. Le persone effettivamente occupate prima, durante e dopo la cessazione del sussidio vengono rilevate con l’utilizzo del sistema delle Comunicazioni obbligatorie per le attivazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro comunicate dai datori di lavoro e non hanno alcuna diretta relazione con le iniziative di politica attiva messe in campo con il Reddito di cittadinanza. In pratica, i numeri occupazionali ufficiali sono in grande prevalenza il frutto della ricerca spontanea delle persone, motivata dalle condizioni in essere al momento della domanda o dalla ricerca di lavori anche provvisori per integrare i sussidi di bassa entità.

Anche tenendo conto della sospensione delle attività disposto nei periodi del lockdown, il fallimento delle politiche attive per il lavoro risulta conclamato per l’inconsistenza delle iniziative prodotte nel corso degli oltre 3 anni di attività. Un esito ampiamente prevedibile dato che l’impianto di queste politiche, a partire dalla possibilità di rifiutare le proposte di lavoro a tempo indeterminato veicolate dagli improvvisati navigator, era stata palesemente utilizzata per offrire una giustificazione al varo di un provvedimento che ha confermato nel tempo la sua natura clientelare.

Data la quantità e le caratteristiche di questa offerta di lavoro, l’introduzione del vincolo obbligatorio di accettare qualsiasi offerta di lavoro regolare anche a termine, offrendo la possibilità di integrare il salario con una parte del sussidio, ovvero di poter usufruire nuovamente dei sussidi dopo la cessazione dei rapporti di lavoro di breve durata, può offrire una parziale risposta al problema. A condizione che siano rese effettive: la messa a disposizione di questi potenziali lavoratori attraverso la formazione di liste di disponibilità territoriali per le richieste dei datori di lavoro; la verifica dei comportamenti dei beneficiari; il funzionamento del sistema sanzionatorio.

Date le condizioni descritte, e quelle ambientalmente consolidate in molti territori locali, sulla concreta possibilità di ottenere significativi risultati anche in termini di risparmio di spesa pubblica da destinare ad altre prestazioni sociali, come auspicato dalla presidente del Consiglio Meloni, e meglio non cullare troppe illusioni.

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