La Legge di bilancio 2023 è (quasi) pronta. È stata, infatti, approvata dal Consiglio dei ministri, ma, a causa di bollinature e procedure varie, il testo non è ancora disponibile nella sua completezza. Sappiamo però, ad esempio, che l’esecutivo ha deciso di intervenire sul Eeddito di cittadinanza come, peraltro, promesso, con accenti e toni diversi, dalle varie forze politiche componenti l’attuale maggioranza.
È stato così comunicato che dal primo gennaio del 2023 alle persone tra i 18 e i 59 anni, abili al lavoro, ma che non abbiano nel nucleo persone con disabilità, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età, sarà, comunque, riconosciuto il reddito nel limite massimo di 7 o 8 mensilità invece delle attuali 18 rinnovabili.
Sarà, quindi, prevista la partecipazione per un periodo di almeno sei mesi a un corso di formazione o riqualificazione professionale obbligatorio. In caso di mancata adesione sarà prevista, infatti, la decadenza dal godimento del reddito. Lo stesso accadrà anche nel caso in cui si rifiuti la prima offerta “congrua” proposta dai Centri per l’impiego (nella versione originale del Reddito di cittadinanza del 2019 si parlava di ben tre offerte).
La soluzione prevista è, tuttavia, da considerarsi “ponte” rispetto a una nuova misura (strutturale e organica?) che il Governo dei “Patrioti” metterà in campo a partire dal 2024. Sembra, tuttavia, emergere la volontà di separare più nettamente, rispetto alla situazione attuale, la dimensione “passiva” di sostegno alla povertà da quella “attiva” per chi è in grado di lavorare e contribuire così allo sviluppo della “Nazione”.
Tutto sembra, insomma, girare per l’ennesima volta intorno al tema relativo alla capacità di implementare “politiche attive” efficaci e di qualità. Per metterle in campo non dovrebbero mancare, tuttavia, almeno le risorse. Il nostro Paese ha, infatti, ad esempio, ricevuto dall’Europa, solo nelle settimane scorse, ulteriori 1,5 miliardi di euro, rispetto ai finanziamenti iniziali nell’ambito del piano comunitario REACT-EU, da “spendere” per assumere più giovani e donne, migliorare le competenze dei lavoratori e delle persone in cerca di lavoro e sostenere la ripresa economica dell’Italia.
È il tempo, quindi, di riflettere e mettere sul tavolo idee, anche innovative, su come aiutare persone, certamente deboli nel mercato del lavoro, a riattivarsi partendo dall’analisi degli errori del recente passato e delle esperienze, ritenute più virtuose, che si sono realizzate sui territori e negli altri Paesi europei senza guardare al colore di chi le ha proposte per primo.
La povertà, infatti, non è, ahimè, né di destra, centro o sinistra, e contribuire a “combatterla” è compito di ogni Governo “nell’interesse supremo della Nazione”.
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