Dal presidenzialismo al premierato, fino all’autonomia differenziata. Sul tavolo delle riforme in questi ultimi mesi ci sono grandi progetti per la democrazia italiana, alla ricerca di un sistema adeguato a garantire la governabilità. Progetti che scaldano il dibattito politico e di cui si parla oggi al Meeting. Su questi temi caldi sentiamo Tommaso Foti, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, uno dei partecipanti alla tavola rotonda sulle riforme istituzionali con la quale oggi l’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà cerca di dare un contributo al dibattito in corso.
All’incontro parteciperanno anche Maria Elena Boschi (Italia Viva), Maurizio Lupi (presidente dell’Intergruppo), Nazario Pagano (Forza Italia), Stefano Patuanelli (M5s), Massimiliano Romeo (Lega) e Giorgio Vittadini (presidente della Fondazione per la sussidiarietà). Modera Paolo Del Debbio.
Onorevole, il dilemma presidenzialismo-premierato è uno dei temi di confronto nell’ambito della discussione sulle riforme istituzionali. In quale contesto sta maturando questo dibattito e quale strada è meglio prendere per garantire la governabilità?
Il 12 ottobre di quest’anno sono 40 anni dall’approvazione delle due mozioni che prevedevano la nascita della commissione Bozzi, il che dimostra come il dibattito sulle riforme costituzionali non sia un tema di oggi. Abbiamo avuto tutta una serie di discussioni ma anche di riforme che sono state votate. Dei partecipanti al dibattito non ce n’è uno che non abbia votato almeno in una legislatura una riforma costituzionale. È stato un tema sempre vivo, al punto tale che l’ultima legislatura ha modificato il numero dei parlamentari. Per quanto riguarda il dibattito di oggi, il presidenzialismo ha necessità di pesi e contrappesi. Il premierato sembra la formula sulla quale si potrebbe trovare più accordo oltre il perimetro della maggioranza. È chiaro però che le riforme costituzionali non possono essere lette sempre come una bandiera a cui opporsi perché proposte dalla maggioranza avversa: così ognuno rimane legato al proprio orticello. Ci vuole la volontà di dialogare e anche di tenere presente le riforme votate in passato da parte di tutti, che possono trovare dei punti di equilibrio nel premierato con l’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Il premierato imporrebbe altri cambiamenti oltre alla elezione diretta del presidente del Consiglio?
Ci dovrebbe essere anche la possibilità del presidente del Consiglio di revocare i ministri e una norma antiribaltone. Possono esserci ragioni di salute, un impedimento a tempo indeterminato o un accordo tra le forze politiche per cambiare il presidente del Consiglio, ma bisognerebbe rimanere nell’alveo della maggioranza che gli elettori hanno scelto. Penso che in questo modo la governabilità possa essere garantita.
Ma per garantire la governabilità non basterebbe, invece, una semplice riforma elettorale?
Le riforme elettorali che sono state pensate fino ad oggi per la governabilità non hanno mai raggiunto il risultato auspicato. È evidente che se non c’è impossibilità di ribaltare il risultato delle elezioni non c’è riforma elettorale che tenga, perché poi è sempre possibile che una parte di maggioranza si possa alleare con una parte di opposizione. Nell’ultima legislatura si sono sperimentate varie forme di governo che non erano la rappresentazione della volontà elettorale: si è passati dal governo gialloverde a uno giallorosso a un governo tecnico con gialloverdi e giallorossi.
L’altra grande riforma di cui si sta parlando è l’autonomia differenziata, può rischiare davvero di spaccare il Paese come dicono i più critici?
L’autonomia differenziata è stata introdotta con la riforma del titolo V ed è stata voluta dal centrosinistra. Con il Governo Gentiloni alcune Regioni presentarono quelle che potevano essere le intese rispetto ad alcune partite. Le prime bozze di intesa vennero firmate da un Governo che vedeva il centrodestra all’opposizione. In quel caso c’era un accordo diretto, ogni Regione faceva il suo con lo Stato. Ora vengono disciplinate alcune materie e si tiene presente che la vera questione è l’allineamento dei Lep (livelli essenziali di prestazione, nda). Non vedo per quale ragione si debba reclamare la spaccatura del Paese da parte di coloro i quali non avevano neanche fissato le regole del gioco uguali per tutti. È ovvio che ci vogliono equilibri e bisogna vedere l’impatto che ne deriva per il bilancio dello Stato perché è molto facile dire, come è solita fare la sinistra nella sua propaganda, che quando è lei a fare le riforme esse sono a costo zero e quando le fanno gli altri costano. Probabilmente la verità è nel mezzo: ogni riforma porta con sé dei costi che poi possono essere assorbiti grazie a una miglior gestione dei servizi e delle competenze.
Ma il Governo ha la forza per portare avanti entrambe le riforme: premierato e autonomia differenziata?
Questo Governo non ha compiuto un anno ancora e le due riforme sono molto significative. Per la riforma statuale occorre iniziare il percorso, l’autonomia differenziata è avvantaggiata perché non è una legge di riforma costituzionale. Ci sono due binari che si possono far correre parallelamente sotto il profilo politico, ma sotto il profilo costituzionale sono diverse. L’articolo 138 per la riforma costituzionale detta dei tempi che non sono eludibili, con un esito finale che al 99% è il referendum.
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