Da sempre il Meeting è europeista e regionalista. Nel suo Dna sono inscritte indelebilmente la scelta per l’Europa e quella per le Regioni. E a ben vedere queste due direttrici sono esattamente le linee di sviluppo e crescita della nostra Repubblica; sono, quindi, le due facce della stessa “passione repubblicana” che guida sin dai suoi inizi la manifestazione riminese. E a certificare come a Rimini ogni anno si coltivino, si educhino e maturino proprio queste virtù repubblicane, sta il fatto che anche questa edizione vedrà la presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, già venuto nel suo precedente mandato, come anche Giorgio Napolitano.
La presenza anche quest’anno del Presidente della nostra Repubblica sta proprio a confermare come la condizione affinché una “res publica” viva e fiorisca nella storia, è che la sua società civile sia forte e soprattutto consapevole; ovverosia pronta al dibattito pubblico sui temi rilevanti, al confronto e al dialogo e non frammentata dalle “scomuniche” reciproche. Orbene, uno dei fattori generativi e identitari del nostro Paese è proprio la coscienza, da un lato, di ciò di cui siamo costituiti e, dall’altro, di ciò cui apparteniamo. Queste due tensioni, regionalismo e sovranazionalità, nella nostra cultura politica e istituzionale non sono antitetiche, ma proprio come nello sviluppo di una persona, esse rappresentano le relazioni fondamentali di crescita.
Da un lato, il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze interne, delle storie e delle culture che compongono la nostra identità nazionale, dall’altra, la partecipazione dell’Italia, con la sua identità propria, alla costruzione dell’Europa, il più grande esperimento di integrazione politica e istituzionale, ideato nel nostro continente dopo la seconda guerra mondiale.
Oggi, però, entrambe queste direttrici sembrano profondamente in discussione. Si vedano, simbolicamente, due linee di proposte di riforma costituzionale attualmente in discussione in Parlamento: l’una volta a ristabilire la sovranità nazionale contro quella europea, l’altra a introdurre il cosiddetto “regionalismo differenziato”.
Come sempre, i momenti di crisi, se vissuti positivamente, sono occasioni non per azzerare il cammino fatto, ma per riconsiderarlo sin dall’inizio e per capire dove occorre dirigersi, dove occorre cambiare. E se ripercorriamo il percorso regionalista ed europeista, emergono alcune domande. Quali sono, allora, le sfide a cui Regioni ed Europa erano chiamate a rispondere? Le Regioni, innanzitutto, sono l’unica vera novità istituzionale della nostra costituzione repubblicana. I Comuni, le Province e lo Stato esistevano già. Le Regioni sono un frutto totalmente nuovo della stagione costituente. Nascono per essere una componente essenziale della nuova forma che lo Stato doveva assumere dopo l’esperienza totalitaria.
L’idea era creare venti nuove arene democratiche (venti nuove “palestre”, questa era l’immagine usata dai costituenti) in cui sperimentare e allenare nuove forme di democrazia e di servizio pubblico che non ripetessero l’unico cliché conosciuto, quello dello Stato liberale pre-repubblicano. Partecipazione, territorio, valorizzazione della società civile, città, salute, ambiente, tutte sfide inedite su cui ricostruire un patto tra cittadini e istituzioni. Che fine ha fatto questa scommessa sul futuro dell’Italia? Le Regioni cosa rappresentano oggi di unico e irripetibile nel panorama delle istituzioni? Cosa occorre conservare e cosa cambiare dell’esperienza regionale perché il disegno regionalista si compia? Il regionalismo differenziato è una soluzione e una strada percorribile?
Veniamo all’Europa. Anche il disegno europeo è oggi in grande e decisiva trasformazione. Molte delle promesse di uno sviluppo economico sostenuto ed equamente distribuito tra i Paesi membri sono state tradite dalle crisi economiche degli anni 2000 e la tragedia Covid-19 ha dato un ulteriore colpo mortale. Negli anni 80 e 90 la credibilità delle istituzioni europee era sempre decisamente superiore della credibilità dello Stato italiano e degli enti locali. L’italiano medio non nutriva grandi speranze sul proprio governo, ma si fidava moltissimo di quello europeo. Oggi tutte le istituzioni, europee e nazionali, vivono la stessa disillusione.
C’è però un punto di vista originale che oggi può essere messo in campo: vedere l’Europa dall’osservatorio regionale. Che prospettiva europea vedono le nostre Regioni? Che opportunità oggi rappresenta l’Unione per settori in cui le Regioni sono in prima linea, come salute, città, ambiente, sviluppo economico? Il Pnrr, al di là dei numeri nazionali e delle correzioni di cifre e debiti, sarà una opportunità reale dal punto di vista dello sviluppo locale? Che messaggio inviano a Bruxelles le Regioni presenti al Meeting?
Con queste domande oggi si confronteranno al Meeting Francesco Acquaroli, presidente Regione Marche, Sergio Emidio Bini, assessore Attività produttive e turismo Regione Friuli-Venezia Giulia, Maurizio Fugatti, presidente della Provincia Autonoma di Trento e Donatella Tesei, presidente Regione Umbria. Lo scopo, come sempre, sarà quello di riattivare e potenziare il dialogo tra le istituzioni e società, così da tornare a respirare con entrambi i polmoni della dimensione regionale e di quella europea.
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