La giornata del dialogo tra governo e opposizioni sulle riforme istituzionali è stata interlocutoria. Ognuno ha tenuto le posizioni di partenza, quindi non sono stati fatti passi in avanti né avvicinamenti, ma nemmeno si può dire che si siano registrati irrigidimenti o nette chiusure da parte di nessuno. Il confronto rimane aperto anche se Giorgia Meloni ha detto che non vuole perdere tempo e non accetterà manovre dilatorie per rallentare l’iter delle riforme. “Spero in una condivisione ampia, che vada oltre la maggioranza ma non a costo di venir meno all’impegno assunto con i cittadini”, ha detto al termine degli incontri bilaterali con i partiti di minoranza.



L’opzione che sembra prendere corpo nel centrodestra è quella non più del presidenzialismo puro, ma del premierato con l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Il capo dello Stato manterrebbe il ruolo di supremo garante, ma perderebbe uno dei suoi poteri cardine, quello appunto di nominare il capo dell’esecutivo. Su questo Pd e 5 Stelle hanno chiuso la porta: Elly Schlein ha ribadito che “le riforme istituzionali non sono una priorità” e che per rafforzare la stabilità – obiettivo del centrodestra – basterebbe cambiare la legge elettorale eliminando le liste bloccate e introdurre la sfiducia costruttiva, senza toccare le prerogative del Quirinale. Per Giuseppe Conte i poteri del premier vanno rafforzati “in un quadro equilibrato che non mortifichi il modello parlamentare”. Più possibilisti quelli dell’ex terzo polo: Carlo Calenda (Azione) non esclude l’idea del “sindaco d’Italia” mentre secondo Maria Elena Boschi (Italia viva) non c’è “la necessità di un coordinamento con le opposizioni”. Quindi i centristi sembrano voler tenersi le mani libere per andare a una trattativa diretta con il governo. “Una collaborazione è possibile”, ha detto Calenda.



Il fronte delle opposizioni è dunque spezzettato: non hanno i voti per opporsi alla Meloni ma neppure la compattezza per piantare dei paletti. Anche in un impulso di favorire quella che ha chiamato “condivisione ampia”, la Meloni avrebbe grosse difficoltà a trovare un punto d’intesa che faccia andare d’accordo tutte le minoranze. In questa fase l’opposizione gioca di rimessa, tenta di allungare i tempi senza avere controproposte da mettere sul tavolo e sulle quali tentare una mediazione. I vari leader sono andati a incontrare la Meloni per vedere le sue carte. Ma le discordanze tra gli avversari potrebbero spingere la premier a tirare dritto in attesa che gli altri si mettano d’accordo.



Ma anche la Meloni ha motivi di riflessione. Il suo mantra è “occorre stabilità”, e questa esigenza viene fatta coincidere con una forma di presidenzialismo. Ma non è scontato che a un’elezione diretta segua inevitabilmente una “democrazia decidente”, come viene chiamata: basta vedere che cosa sta succedendo in Francia, dove un presidente scelto dal popolo è violentemente contestato nelle piazze da settimane con una protesta che paralizza il Paese. Più che dall’assetto istituzionale, il problema della “governabilità” in Italia è dato dallo sfarinamento dei partiti, dalle scissioni e dai riposizionamenti.

Anche la strada per avviare l’iter di riforma va valutato con attenzione. Le strade sono due: presentare una proposta di legge costituzionale in Parlamento o istituire l’ennesima Bicamerale che elabori un testo. “Se ci sono strumenti che ci consentano di fare in tempi ragionevoli ciò che dobbiamo, ci possiamo confrontare”, ha detto la Meloni ai 5 Stelle. Quindi il confronto prosegue.

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