Caro Capolla,
faccio seguito alla pubblicazione del suo ultimo articolo. Tengo a precisare che, da sempre, siamo convinti che in quel periodo ci siano stati errori gravi da parte di alcune persone, mossi da superficialità, incompetenza e mancanza di preparazione al rischio. Tuttavia, ribadisco che la responsabilità maggiore ricade su chi era alla guida della Regione in quegli anni.



Non mettiamo in dubbio che la grandissima parte dei dipendenti regionali siano persone competenti e dedite al loro lavoro. Esattamente come quelli della prefettura. È importante dirlo e questo è essenziale per noi. Le nostre critiche sono sempre state rivolte esclusivamente ai fatti e a quei pochi personaggi che hanno commesso errori, e che devono essere portati a processo fino in fondo, perché quegli errori hanno portato alle conseguenze tragiche che tutti conosciamo.



Riguardo alla sentenza del 3 dicembre, abbiamo esultato, perché si sono aperte nuove possibilità di analisi, quelle che da sempre sosteniamo. C’erano due strade:

– una avrebbe chiuso tutto con quanto deciso nei primi due gradi di giudizio, limitando le responsabilità a quelle già individuate;

– l’altra, invece, ha permesso di guardare oltre, riconoscendo che le responsabilità non erano solo quelle.

Anche la condanna del prefetto è stata significativa per noi, nonostante l’assoluzione per il reato di depistaggio, che comunque riteniamo sia stato commesso. Siamo soddisfatti perché quel reato, particolarmente grave, è stato riconosciuto.



Per noi, rimane il pensiero che se il CCS (Centro coordinamento soccorsi, ndr) fosse stato aperto in tempo e non in ritardo (mascherato dal falso di averlo aperto il 16 anziché il 18), oggi i nostri cari sarebbero a casa. Questo lascia incomprensioni sul perché non sia stato riconosciuto l’omicidio colposo anche in quella direzione, ma, al di là di questo, riteniamo il risultato ottenuto un grande passo avanti.

Rigopiano non poteva concludersi così. Era ingiusto.

Riconosciamo che, per non avere problemi, spesso si preferisce eseguire gli ordini e tacere piuttosto che ribellarsi e dire: “Questo è giusto, questo è sbagliato”. Opporsi al sistema comporta conseguenze gravi, e chi lo fa si trova a sfidare il potere. Tuttavia, anche il silenzio, il non portare avanti il proprio ruolo o il non eseguire i protocolli, ha contribuito al risultato tragico di Rigopiano.

Un caro saluto a lei, a tutti i dipendenti della Regione, che non abbiamo mai colpevolizzato, e al presidente Marco Marsilio, che fin dal primo momento del suo insediamento ci è stato vicino con un ruolo molto difficile. Siamo grati per il supporto ricevuto e per l’attenzione che la sua amministrazione ci ha dedicato.

P.S.: Aggiungerei anche una riflessione sul perché abbiamo esultato o pianto alla lettura della sentenza. Certo, bisognerà attendere le motivazioni, ma al primo impatto ci è sembrato che le cose fossero state presentate in un modo che, per noi, non aveva alcun senso. Una visione che ci è parsa profondamente sbagliata, quasi assurda. Siamo arrivati in Cassazione demoralizzati, convinti di aver subito un torto. Certo, eravamo consapevoli che scegliere questa strada – una strada che, in realtà, è stata intrapresa su impulso del procuratore generale – avrebbe comportato dei rischi, come quello della prescrizione. Tuttavia, non potevamo accettare di tornare a casa con una manciata di condanne insufficienti o peggio senza alcuna condanna. Per noi era fondamentale rimettere in discussione anche le altre posizioni. Eravamo fermamente convinti di questa scelta fin dall’inizio, anche se non ne avevamo la certezza assoluta.

Gianluca Tanda, parente di una delle vittime di Rigopiano e presidente del Comitato familiari delle vittime

 

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