PROCESSO RIGOPIANO, SENTENZA PRIMO GRADO: SOLO 5 CONDANNE, 25 ASSOLUZIONI. IRA PARENTI VITTIME IN AULA
Si chiude una lunga attesa durata 6 anni con 5 condanne su 30 imputati il processo di primo grado sulla tragedia della valanga di Rigopiano: sorprende la sentenza letta dal gup Sarandrea (processo era con rito abbreviato presso il Tribunale di Pescara) che vede assolti 25 imputati e condannati solo 5. Si tratta di Ilario Lacchetta, sindaco di Farindola, condannato a 2 anni e 8 mesi (l’accusa aveva chiesto 11 anni e 4 mesi di reclusione); Paolo D’Incecco e a Mauro Di Blasio, funzionari della Provincia di Pescara, condannati a 3 anni e 4 mesi; Bruno Di Tommaso, il gestore dell’hotel Rigopiano, condannato a 6 mesi, e con lui anche il tecnico Giuseppe Gatto.
Tutti assolti gli altri 25 imputati, a cominciare dall’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo (era stato condannato a 12 anni) e l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco: alla lettura della sentenza in aula è esplosa la rabbia di tanti parenti delle 29 vittime morte sotto la slavina di Rigopiano. «Vergogna. Ingiustizia è fatta. Assassini, venduti, fate schifo», hanno urlato alcuni parenti incontenibili nella propria furia contro la decisione presa dai giudici. Ai cronisti presenti, un superstite della tragedia Giampaolo Matrone (che ha perso sotto la valanga la moglie Valentina Cicioni) ha gridato contro il gup, «Giudice, non finisce qui», portato subito fuori dalle forze dell’ordine.
VALANGA HOTEL RIGOPIANO, OGGI ARRIVA LA SENTENZA PER I 30 IMPUTATI
A poco più di 6 anni esatti dalla tragedia della valanga di Rigopiano che travolse l’hotel di Farindola, uccidendo drammaticamente 29 persone, arriva oggi la sentenza di primo grado presso il Tribunale di Pescara. 30 imputati in tutto che con rito abbreviato riceveranno oggi la sentenza in base alle stariate accuse formulate nella lunga fase di dibattimento in Aula degli scorsi mesi. Era il 18 gennaio 2017, erano passate pochissime ore dalla tragedia del terremoto di L’Aquila e Rieti (M 5.3 e M 5.0 le scosse più forti) e una slavina all’improvviso alle ore 16.49 si stacca nella vallata abruzzese sopra Farindola arrivando a travolgere completamente l’Hotel Rigopiano con la potenza devastante di due metri di neve alla velocità di 100 km/h. Telefonate, allarmi, tutto inutile: 29 sono i morti, molti i feriti e la terribile sensazione che se la catena di comando dei soccorsi fosse funzionata a dovere probabilmente qualcuno si sarebbe potuto salvare e non sarebbe morto in mezzo al gelo per ore.
Il giudice per le indagini preliminari, Gianluca Sarandrea, è chiamato oggi ad una difficile sentenza per appurare le effettive responsabilità dei 30 imputati accusati, a vario titolo, di disastro colposo, omicidio e lesioni plurime colpose, falso, depistaggio, abusi edilizi. Nelle udienze precedenti i giudici dell’accusa – coordinati dal procuratore capo di Pescara Giuseppe Bellelli e dai pm Andrea Papalia e Anna Benigni, hanno chiesto 26 condanne per la tragedia Rigopiano per un totale complessivo di 151 anni e mezzo di reclusione, ma anche 4 assoluzioni. I giudici sono entrati stamane in camera di consiglio attorno alle ore 9.30, con la lettura della sentenza attesa dopo le ore 17.
ACCUSE TRAGEDIA RIGOPIANO: CHI SONO GLI IMPUTATI
Va ricordato come nella terribile tragedia dell’Hotel Rigopiano a Farindola l’inchiesta originaria si è conclusa nel novembre 2018 con indagati i vari livelli istituzionali deputati a gestire l’emergenza maltempo (Regione Abruzzo, Prefettura e Provincia di Pescara, Comune di Farindola). Le ricerche però si erano poi estese anche alla mancata realizzazione della Carta prevenzione valanghe da parte della Regione e ai permessi per la ristrutturazione del resort, con un totale di 40 indagati su Rigopiano. A fine dicembre 2018 un’inchiesta bis sul depistaggio (a carico del personale della Prefettura di Pescara, compreso l’ex prefetto Francesco Provolo) metteva in questione il potenziale occultamento del brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio alla Mobile di Pescara, con ulteriori 7 indagati.
A dicembre 2019 i vertici regionali escono dal processo Rigopiano con 22 archiviazioni per ex presidenti della Regione ed ex assessori regionali alla Protezione Civile. I 30 imputati rimasti in attesa di una sentenza oggi pomeriggio vengono accusati a vario titolo di non aver saputo reagire all’emergenza, di aver sbagliato le operazioni o di averle sottovalutate: in primis, indagato è l’albergatore Bruno Di Tommasi che non aveva chiuso la struttura, in quei giorni c’erano state tempeste di neve (chiesti 7 anni e 8 mesi); pena più pesante è stata chiesta invece per l’ex prefetto Francesco Provolo, 12 anni per i mancati interventi in un’area dentro una tempesta e dove almeno quattro scosse avrebbero contribuito poi a innescare la slavina-valanga fatale. Ai dirigenti della prefettura Leonardo Bianco e Ida De Cesaris (per aver sottostimato l’emergenza e le telefonate di allarme) sono stati chiesti 8 e 9 anni rispettivamente, mentre al sindaco in carica di Farindola, Ilario Lacchetta, sono chiesti 11 anni e 4 mesi (anche per il dirigente comunale Enrico Colangeli) per la mancata pulizia delle strade; 6 anni per gli ex sindaci Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, 6 anni per l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco, mentre per i dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio la richiesta di condanna è di 10 anni. 5 anni nel processo Rigopiano sono stati chiesti per i dirigenti regionali Carlo Giovani, Pierluigi Caputi, Emidio Primavera, Sabatino Belmaggio, Carlo Visca; 7 anni per Vincenzo Antenucci, del servizio regionale Prevenzione e Rischi. Infine, sul fronte depistaggio in Prefettura, 2 anni e 8 mesi di reclusione sono stati chiesti per Daniela Acquaviva: in una telefonata con un carabiniere le veniva chiesto nella sala operativa della prefettura notizie sul crollo dell’Hotel Rigopiano, ma lei rispose «Ma l’Hotel Rigopiano è stato fatto stamattina». Il fratello di una delle vittime, Andrea Feniello, arriverà al processo di Pescara dopo aver pedalato da Verona (dove vive) in memoria del fratello Stefano: «E’ un gesto simbolico per chiedere verità e giustizia sulla morte di mio fratello e delle altre vittime dell’Hotel Rigopiano, una tragedia che si doveva e poteva evitare».