Alessandro è morto sotto la slavina che ha travolto l’hotel Rigopiano ma è ancora nella vita quotidiana di chi lo ha amato, di chi lo ha conosciuto e da lui ha ricevuto il suo sorriso, la sua amicizia, il suo amore. Dopo la sentenza che ha lasciato sgomenti molti dei familiari di quelle 29 vittime, la mamma di Alessandro guarda al futuro.



“Non posso piangermi addosso, ho altri due figli, certo Alessandro non c’è più, mi manca tantissimo. Era una persona stupenda e non lo dico solo io che sono la mamma, chi lo ha conosciuto, anche tra i suoi amici di Cl, continua a ricordare a me e a tutti che era eccezionale. Mi manca tanto, soprattutto la mattina quando mi alzo, però penso, anzi ho la certezza, che lui da lassù ci guarda. Questa sentenza l’ho vista male, ma non lo possiamo sapere il perché, nonostante un impianto accusatorio che ci sembrava forte è stato deciso questo. E poi c’è sempre l’appello e noi andiamo avanti comunque”.



Nel cuore di Antonella Riccetti c’è il figlio, nel suo animo quella fede che le ha dato la forza di superare il dramma, cominciato subito dopo quella valanga, quando Alessandro figurava tra i dispersi dell’hotel Rigopiano, quel posto che lo aveva accolto per lavorare, dove sognava il suo futuro. Ma mamma Antonella ha saputo trovare nel dolore la forza di quell’amore che trasmetteva suo figlio. Qualcosa di più grande di loro, che infondeva gioia nella vita.

La morte di Alessandro le ha donato tante nuove amicizie, dai familiari delle altre vittime, che ha conosciuto nei momenti più tragici, a quelle persone che a Pescara le hanno donato uno sguardo, sguardo di speranza, sguardo d’amore, certezza che c’è un Dio buono e giusto nonostante gli abbia strappato un figlio. Una “perturbazione” l’ha definita nel suo libro Dov’è Dio don Julián Carrón, che ha voluto ricordare la testimonianza che Antonella ha portato dopo la tragedia di Rigopiano, mentre era ancora in attesa di notizie insieme agli altri familiari delle vittime. Una donna che ancora sperava di rivedere vivo Alessandro, ma che nel contempo era diventata sostegno per tutti.



“Quando l’hanno salutata – scrive Carrón nel libro – le hanno detto grazie, perché la sua presenza ha reso possibile vivere questi giorni in modo diverso”. La ringraziano per il bene che aveva significato per tutti. Una perturbazione che una presenza cristiana produce. La Fede ha generato in lei un modo più umano di guardare e trattare tutto e gli altri sono stati grati di vederla vivere così”.

Una fede che diventa sostegno anche subito dopo una sentenza che ha assolto la gran parte degli imputati, dopo 6 anni di attesa. “Se uno scrittore si fosse messo lì ad inventare – ci racconta ancora Antonella – non sarebbe riuscito a scrivere una storia così contorta. Oggi è grazie alla mia fede che posso dire che sono riuscita a stare insieme a tutti gli altri familiari, accomunati da questo grande dolore. Una situazione che potremmo definire positiva, anche se positivo sarebbe stato incontrarsi in un altro contesto. Il dolore ci ha accomunati, non ci ha fatto sentire soli e sola non mi sono sentita perché a Pescara ho incontrato altri amici: Peppe, conosciuto proprio attraverso il libro di Carrón, poi attraverso lui Luigia con il marito, anche loro di Comunione e liberazione, che mi hanno accolto nella loro casa quando per le udienze dell’Umbria mi recavo in Abruzzo. In loro ho trovato un’amicizia, un conforto, un appoggio in questi sei anni”.

“Al momento della lettura della sentenza ero abbracciata a mio figlio, il più grande, e sinceramente mi sono sentita vuota, sola, abbandonata – racconta ancora –. Non sono vendicativa, e sapere in carcere o meno gli imputati non mi avrebbe riportato Alessandro. Però penso che chi verrà dopo non riuscirà a capire chi è il funzionario modello di cui parlava il pubblico ministero. Chi era impegnato in quelle ore, ma anche prima della slavina, la sua piccola parte di impegno che doveva svolgere non l’ha fatta. Che messaggio passa oggi? Perché a noi i ragazzi non ce li riporta nessuno, neanche una sentenza. Ma possiamo dire che si poteva fare, e si poteva fare tanto. Non fa bene neanche andare contro il giudice con parolacce e atteggiamenti violenti. Non fa bene alla giustizia italiana, non fa bene all’Italia stessa, però mi metto pure nei panni di chi è stato 62 ore sotto le macerie e ha perso la moglie. Avevamo tutte le ragioni per essere arrabbiati, anch’io se non avessi avuto la mia fede che mi ha salvato e Dio mi ha sempre aiutato a rialzarmi. Nel mio animo ho accettato la morte di mio figlio e Dio conosce il perché e siccome io ho fiducia in Dio mi rialzo e vado avanti. Guardandomi indietro devo dire che questo mi ha aiutata molto. Certo adesso, lì per lì, la sentenza l’ho sentita dolorosa, ieri ho sentito la necessità di stare chiusa nel mio dolore, avevo poca voglia di parlare. Poi pian piano penso e dico che ci sarà un appello, quindi noi non sappiamo perché è successo tutto questo. In fondo anche questi funzionari non volevano la morte di quelle persone, forse sono colpevoli di incapacità. Tra 90 giorni leggeremo le motivazioni che ci spiegheranno perché non avevano i mezzi per raggiungere l’albergo e liberare la strada, perché non li hanno chiesti, perché la carta valanghe non era ancora stata fatta. Rimane una sentenza che comunque per noi familiari è stata una botta, il nocciolo era riuscire ad aprire una strada, anche una sola turbina, poi tutto quello che c’è dietro sarebbe venuto fuori, ma quelle 29 persone non sarebbero morte. Se andiamo ad analizzare la sentenza, il giudice ha puntato tutto su questo problema: quello legato alla viabilità, alla percorribilità della strada. Penso che il sindaco Lacchetta avrebbe dovuto imporre di chiudere l’albergo viste le previsioni, poi la responsabilità sarebbe stata del titolare che non ho conosciuto personalmente ma di cui mio figlio mi parlava bene. Voleva bene a mio figlio e non mi sento di giudicarlo più di tanto, anche perché ha investito i suoi beni in quella struttura e non lo ha fatto per cercare la morte lì sotto. Anche i colleghi di mio figlio, che non erano in turno quel giorno, mi hanno parlato di una persona buona, molto umana. Una sentenza che è sembrata una coltellata, ma quel giudice era lì da solo, ha ritenuto di prendere questa decisione. Adesso comportarsi come hanno fatto gli altri familiari non fa bene a nessuno, neanche all’Italia stessa. Non diamo una bella figura dell’Italia neanche attraverso questa sentenza, perché far passare tutti non colpevoli lascia aperti mille dubbi, anche se ci sono altri due gradi di giudizio. Sono consapevole che non possiamo chiedere a Dio di non avere ostacoli nel corso della nostra vita perché purtroppo questa è una strada in salita, ma Dio ci dà la forza per affrontarli questi ostacoli, punto. Oggi non ho la certezza che non avrò più ostacoli, però ho la certezza che Dio mi aiuta ad affrontare tutto quello che mi accade giorno per giorno”.

Antonella ha una fede che rende sereno il suo animo al di là di ogni sentenza, ha Alessandro che in ogni momento la assiste dal cielo, ha lo sguardo di tanti amici che non la faranno mai sentire sola.

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