Un percorso manageriale sempre vissuto nell’interpretazione dei bisogni della platea di riferimento, e non nell’imposizione di scelte e orientamenti pianificati dall’industria. Lui è Matthieu Rinville, un ingegnere francese formatosi all’École Nationale Supérieure des Arts et Métiers di Parigi, passato da Alcatel Espace, ha ricoperto a breve ruoli strategici nello sviluppo di brand quali Louis Vuitton e Gucci, per arrivare  dal 2015 a gestire l’omnichannel trasformazione da Moncler come Worldwide Retail Director.



Rinville, nella sua interpretazione di business ha più volte sostenuto l’importanza di mantenere al centro il cliente, la sua individualità, i suoi desideri. Pensa che anche nel settore turismo valga questo approccio?

Io penso che l’azienda, qualsiasi azienda, e forse ancor più quella turistica, viva dei suoi clienti. Oggi stiamo transitando in un periodo complesso, e non solo per la pandemia, un mondo di forti competizioni. Oggi il prodotto da solo non basta più, è l’insieme della proposta a fare la differenza, a portare valore al cliente. Bisogna stare molto attenti, perché la gente è abituata a tanto, e tutto è accessibile. Sia nel lusso che nel turismo non si trattano beni di prima necessità, di bisogni essenziali. Bisogna quindi essere preparati a fornire soprattutto tre cose: emozioni, personalizzazioni, semplicità di accesso. Il tutto sempre finalizzato alla maggior attenzione possibile sul cliente. Non basta più il soggiorno standard: nel mondo del turismo leisure le emozioni, le esperienze che il cliente riuscirà a far proprie faranno la differenza, così come la personalizzazione della sua sistemazione e della permanenza e l’immediatezza nell’usufruire dei servizi a disposizione, senza intoppi, senza procedure, senza sfibranti attese, come le code al check-in che un viaggiatore deve sopportare magari dopo ore di viaggio. Bisogna smettere di badare solo al proprio prodotto, ma occorre concentrarsi sul cliente.



Experiences ed emozioni al centro del viaggio, quindi?

Non sono “accessori”: sono queste, alla fine, che si ricordano. E per essere vere devono essere legate ai valori di ognuno e anche alla sostenibilità, alla cultura dei territori e al loro rispetto. Perché la vacanza non è solo la destinazione, ma è il viaggio stesso, con i luoghi e le persone che si incontrano, ed ogni scorcio ed ogni essere umano è unico e speciale. Così anche il rapporto del personale con i clienti diventa fondamentale, in tutti i suoi dettagli, in ogni sfumatura.

Sono cambiamenti che vede già in atto?



In parte: si sta passando dal prodotto al cliente. Ma una cosa è dirlo, un’altra farlo. Bisogna acquisire la coscienza della necessità di un salto culturale, e bisogna anche attivare nuovi sistemi di ascolto, per registrare costantemente i feedback dei clienti sulle pratiche adottate. Perché se si finisce con fare qualcosa che non porta ad un maggiore valore per il cliente, è bene non farla proprio.

Tutto questo implica una crescita del management ma anche del personale…

Sì, penso che occorra puntare soprattutto sulla valorizzazione del team, per ottenere un’organizzazione che sia veramente al servizio del cliente. Io credo nell’inversione della piramide.

Cioè?

Fino a ieri all’apice della piramide era il manager, o il titolare, e poi via via, scendendo, si arrivava ai quadri, ai dipendenti, fino ai clienti. Oggi bisogna capovolgere quella piramide: al top sono i clienti, e giù in basso il capo. In un’organizzazione chiamata tutta a rispondere a un solo soggetto: il cliente. È una rivoluzione, me ne rendo conto, ma indispensabile, finalizzata alla soddisfazione dei fruitori del nostro prodotto, del nostro servizio. E se si riesce a creare nello staff il piacere nello svolgimento dei suoi incarichi, sono sicuro che si incasserà anche il gradimento del cliente.

Quanto vale, in genere ed anche nel turismo, la professionalità degli operatori? Crede nella formazione, come quella alla base dei programmi della Scuola italiana di Ospitalità che sta nascendo grazie a Cdp, a ThResorts e all’Università Ca’ Foscari al Lido di Venezia?

Il training è fondamentale. Bisogna comprendere che viviamo in un momento storico di estrema complessità, che ci confrontiamo con eventi drammaticamente impattanti, che cambiano ogni regola a velocità incredibile. In tre mesi abbiamo assistito a mutamenti che nemmeno in dieci anni… Ma la pandemia è solo un acceleratore di un processo già in atto e che comunque si sarebbe dovuto governare, con reazioni veloci e creative. Proprio queste reazioni faranno la differenza: il personale deve quindi essere messo nelle condizioni di poterle attuare. Bisogna alzare il livello della professionalità, attraverso training sulle tecnologie più aggiornate a disposizione ma anche sulla nuova cultura d’azienda, cercando di stimolare la curiosità del team. Se l’operatore troverà soddisfazione nello svolgere il suo compito, il cliente ne beneficerà sicuramente. È finito il mondo in cui si danno istruzioni ai dipendenti: si deve formarli in modo che ciascuno sia autonomo nelle proprie decisioni. L’importante è dare linee guida; si deve credere nelle persone, dare loro spazio di esprimersi. Un “capo” sempre meno capo, insomma, ma molto più coach, che si rapporta con i collaboratori in un reciproco rispetto.

Si annuncia, soprattutto in questi momenti, la crescente importanza di cambiamenti tecnologici e digitali. Potrà essere questo il volano per la ripresa?

È certamente un mezzo, ma non un obiettivo. Un mezzo comunque indispensabile, specie oggi, per ripartire. Vedo l’innovazione tecnologica utile per aumentare le emozioni del cliente, e capace di implementare il marketing: insomma, ha senso se crea valore aggiunto per il cliente. Il mondo del turismo e dei viaggi in realtà, innovazione o no, penso sia destinato a cambiare, vedo meno trasferimenti veloci e distratti dall’altra parte del mondo e più prossimità, alla riscoperta di luoghi, valori e relazioni troppo frettolosamente sempre date per scontate. Un turismo molto più sostenibile, in tutti i sensi, anche in un ritorno all’autenticità.

(Alberto Beggiolini)