Nel commentare la crisi dell’industria del turismo dovuta alla pandemia, e nell’ipotizzare quale futuro sia più plausibile per una ripartenza prossima ventura, si è detto più volte della necessità di rimodulare l’intero settore all’insegna di tre parametri: riqualificazione (di strutture e operatori), digitalizzazione, sostenibilità. Tre nuove fondamenta sulle quali posare la nuova competitività richiesta da mercati sempre più globali e il rispetto per destinazioni fino a un anno fa soffocate dall’overtourism o vittime di colpose distrazioni ambientali.
Oggi, ancora increduli ed entusiasti per il ritorno di un ministero dedicato (che era stato cancellato 28 anni fa, e relegato poi come indesiderato ospite di volta in volta nei dicasteri di Cultura o Agricoltura), un ministero che riconosce finalmente il turismo quale “industria” che vale il 14% del Pil e 300 mila lavoratori diretti, ancora con i calici in mano, insomma, per brindare a Massimo Garavaglia, gli operatori del comparto hanno accolto con sollievo e speranza il passaggio che il premier Mario Draghi ha riservato al turismo nel suo discorso al Senato per il voto di fiducia. Un vero evento, se si considera che mai, almeno negli ultimi vent’anni, s’era sentito qualcosa di simile in un intervento di programma di Governo. E proprio Mario Draghi ha fatto sue quelle predizioni avanzate per il rinnovamento del settore, un cambio di passo necessario per uscire dalla crisi con la mentalità e le attrezzature giuste per fare del turismo un’industria più solida e attrattiva.
“Anche nel nostro Paese – ha detto Draghi – alcuni modelli di crescita dovranno cambiare. Ad esempio il modello di turismo, un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14 per cento del totale delle nostre attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati ad uscire dal disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato. Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. Questa osservazione, che gli scienziati non smettono di ripeterci, ha una conseguenza importante. Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi”.
Immancabili e sostanzialmente omogenee le prime reazioni. “L’intervento del premier Draghi, nel disegnare il percorso dei prossimi difficili mesi che saranno fondamentali per costruire l’Italia di domani, ha fissato anche alcuni punti importanti per quanto riguarda il turismo – ha dichiarato Maria Carmela Colaiacovo, vicepresidente di Associazione Italiana Confindustria Alberghi -. Nel riconoscere la rilevanza del settore per l’economia del Paese, richiamando quel 14% di Pil che viene attivato dal turismo, ha assicurato aiuti a imprese e lavoratori del settore duramente colpiti dalla pandemia. Nel contempo ha sottolineato l’esigenza che i nuovi modelli di sviluppo turistico siano fondati sulla preservazione del patrimonio ambientale artistico e culturale che ne costituiscono le principali chiavi di successo. Importante anche l’impegno ad evitare, seppure nel rispetto delle emergenze, comunicazioni all’ultimo minuto su misure che condizionano l’operatività delle imprese e la vita delle persone. Il segnale del Presidente Draghi è di grandissima importanza perché riconosce il ruolo del settore nell’economia del Paese e disegna un percorso di sviluppo in chiave di sostenibilità che è in piena sintonia con le attività avviate da molte imprese prima della crisi. Digitalizzazione e innovazione, transizione verde e coesione sociale trovano pienamente spazio e coerenza in un fenomeno come il turismo che cresce insieme al territorio e al contesto culturale e sociale che lo circonda. Una conferma, dopo l’istituzione del Ministero, della piena consapevolezza, della rilevanza e della drammatica situazione che sta vivendo il mondo del turismo cui ha assicurato aiuti per imprese e lavoratori”.
“Ci fa immenso piacere – ha detto Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi – che il Presidente del Consiglio, dopo avere finalmente istituito un Ministero del Turismo con portafoglio, abbia rimarcato l’importanza del nostro settore nel suo intervento al Senato. Siamo molto fiduciosi quindi sull’operato di questo Governo per il nostro comparto”.
“Le parole del premier Draghi – ha commentato Marina Lalli, presidente di Federturismo – dimostrano ancora una volta la sensibilità ed attenzione riservate ad un settore economicamente fortemente provato. Abbiamo apprezzato che nel discorso sia stata presa consapevolezza e riconosciuta la necessità d’ora in avanti di cambiare approccio nel segno di un maggiore coordinamento, ponendo fine agli allarmismi, nel rispetto del lavoro di tutti. La crisi ha dimostrato che il modello di sviluppo turistico e sostenibile pre-covid non è più ripetibile. Ci ha offerto l’opportunità per ridisegnare il turismo con maggiore attenzione a sostenibilità, autenticità, per ricostruire il turismo in modo sicuro e rispettoso”.
Una ricostruzione che sembra complicata e di là da venire. L’ultima fosca pennellata al quadro della situazione, un quadro già abbastanza terrificante, arriva dalla nota dell’Istituto Demoskopika, riguardante le perdite subite dal turismo-neve (6.170 chilometri di piste con circa 1.800 impianti di risalita) dopo l’ennesima decisione di posticipare l’apertura degli impianti sciistici alla prima settimana di marzo, di fatto un de profundis per una stagione mai nemmeno iniziata. Il mancato via libera, tra l’altro arrivato all’ultimo momento, quando già i contratti per i lavoratori stagionali erano già stati siglati, le piste battute, i rifornimenti acquistati e pagati, peserà per 12,4 milioni di turisti in meno e mancati incassi per oltre 9,7 miliardi di euro, calcolati nel periodo dicembre-marzo. Con almeno novemila lavoratori stagionali e altri 5 mila a tempo indeterminato a rischio Cinque le destinazioni turistiche invernali maggiormente penalizzate: Trentino-Alto Adige, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Veneto, che insieme rappresentano oltre l’86% della spesa turistica, circa 8,3 miliardi di euro. Nel dettaglio, il lockdown bianco potrebbe generare una sforbiciata degli incassi pari a 3,2 miliardi di euro per il Trentino-Alto Adige, a 2 miliardi per il Piemonte, a 1,3 miliardi per la Valle d’Aosta, a quasi 1,1 miliardi per la Lombardia e a 886 mila euro per il Veneto.
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