I prezzi del gas in Europa sono saliti di oltre il 25% portandosi a ridosso di 180 euro con un incremento di 10 volte rispetto al 2020. I prezzi dell’energia elettrica in Italia hanno sfondato i 400 euro; anche in questo caso 10 volte tanto i prezzi del 2020. Siamo oltre le preoccupazioni sul “caro bollette” o su qualche stima dei rincari per la famiglia italiana media; questi livelli non sono compatibili con la sopravvivenza del sistema industriale europeo e, sospettiamo, nemmeno con il mantenimento del nostro stile di vita. Per un’impresa che compete sui mercati internazionali, come la gran parte del sistema industriale europeo, è impossibile gestire rincari di questa portata rimanendo competitivi. L’unica alternativa sarebbe alzare i prezzi per sopravvivere, ma a quel punto l’impatto sulla domanda sarebbe devastante.



Nonostante la portata economica, molte decine di miliardi di euro per l’Italia, e sociale del problema il tema non sembra appassionare gli osservatori. Le ipotesi sono due: la prima è che il mercato scommetta su una normalizzazione in tempi brevissimi; la seconda è che l’evoluzione della pandemia e della variante omicron abbia determinato un cono d’ombra su tutto il resto per quanto di importanza capitale. In questo secondo caso, se i prezzi non dovessero scendere nel breve termine, scoppierebbe “dal nulla” una questione economica e sociale che invece è nata e cresciuta in questi ultimi mesi.



Nell’Unione europea c’è un Paese che svetta per economicità della bolletta elettrica ed è la Polonia che oggi ha, di gran lunga, i prezzi più bassi. La Polonia produce oltre i due terzi della propria elettricità con il carbone estratto dalle sue miniere; si è impegnata a chiuderle entro il 2049, ma è chiaro che per quella data, a queste condizioni, non ci sarebbe un singolo stabilimento sopravvissuto nel resto d’Europa. La Francia oggi deve fronteggiare lo spegnimento per manutenzione di diversi reattori nucleari; il suo ministro dell’Ambiente lunedì ha spiegato che il Governo potrebbe essere costretto a imporre la chiusura ad alcuni settori e abbassare la tensione. Se questa è la situazione francese possiamo solo immaginare quale sia quella del resto d’Europa che non può contare neanche lontanamente su una tale capacità nucleare. Negli ultimi giorni, per la cronaca, la Francia colpita da un calo della produzione eolica e solare ha dovuto produrre energia con il petrolio per non spegnere le case e le imprese francesi.



L’unico modo che hanno i Paesi europei per evitare i blackout è quello di ricominciare a estrarre gas alla velocità della luce visto che le relazioni con la Russia non sembrano migliorare. Se non si accetta questo l’unica “soluzione” è il razionamento energetico con dei costi sociali ed economici difficilmente calcolabili. Il ministro delle Finanze greco ieri stimava che la crisi energetica europea potrebbe costare 350 miliardi di euro; è una stima che ieri è finita sui principali organi di informazione finanziaria internazionale.

Il corollario di tutto questo è che le stime di Pil per il 2022 sono completamente inaffidabili. Di questo non si parla perché il Covid agisce come un’arma di distrazione di massa e perché i rincari delle bollette sono appena cominciati ad arrivare. I primi mesi del 2022, se il trend non si inverte in modo netto, rischiano di introdurre sfide complicate da gestire anche per la coesione europea. Gli Stati che riescono ad avere costi bassi avrebbero agende completamente diverse da quelli che invece subiscono i rincari. La Polonia non sarebbe incentivata a seguire un modello, imposto da Bruxelles, che causa povertà energetica diffusa e fallimenti societari.

Questa analisi rischia di sembrare eccessiva, ma il problema non è una forzatura sull’interpretazione dei dati. I dati consegnano un quadro inequivocabile di cui però non parla quasi nessuno.

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