Lo sviluppo del fotovoltaico in Italia è uno dei temi del giorno e ieri anche il neo Governatore della Banca d’Italia, nelle sue Considerazioni finali, è intervenuto sul tema: “L’Unione europea deve poi ridurre la propria dipendenza energetica, incrementando la generazione di energie rinnovabili grazie alle risorse naturali di cui dispone in abbondanza”. Il tema, in Italia, è urgente ma forse non sono chiare le proporzioni della questione. A maggio il prezzo dell’elettricità è stato di 14 euro a megawattora in Spagna, di 28 euro in Francia, di 62 in Germania e di 87 in Italia. Con questi prezzi dell’elettricità qualsiasi impresa minimamente energivora italiana è destinata a chiudere. Non si può competere, per quanto bravi si possa essere, se si paga dal quintuplo al 50% in più dei propri competitor europei.
Si dirà, a questo punto, che bisogna “puntare sulle rinnovabili”, ma, anche in questo caso, forse non sono chiari i termini della questione. Nel 2023 la metà della domanda elettrica italiana è stata servita da capacità termica e solo il 17% da quelle solare ed eolica insieme. Per ridurre di un terzo la produzione a gas bisogna raddoppiare la capacità solare ed eolica. Lo sviluppo dell’eolico è fermo da anni perché a causa dell’incremento dei costi delle pale eoliche gli incentivi non sono sufficienti e perché, si veda il recente caso della Sardegna, nessuno è particolarmente entusiasta dell’impatto visivo.
Gli incentivi, per la cronaca, hanno il brutto vizio di pesare sul deficit pubblico. Più è veloce l’incremento della capacità, più salgono gli incentivi. Il solare nel 2023 ha vissuto una stagione record, figlia del Superbonus 110%, ma per raddoppiare la produzione servirebbero altri cinque anni così. Questa è la situazione “nazionale”, poi c’è la dimensione regionale che non è affatto banale.
Le fabbriche italiane sono concentrate in regioni dove c’è poco vento e poco sole e questo è un problema per le “rinnovabili”. Per diminuire di un terzo la produzione termica della Lombardia il solare non dovrebbe fare “per due” ma per dieci. Il numero di anni necessari per questa operazione si allunga oltre il decennio. I costi eventuali di questa operazione sono di due ordini. Il primo, più evidente, per l’installazione che si misura in decine di miliardi di euro e il secondo, meno “pubblico”, per l’ammodernamento della rete. Spostare l’energia elettrica da sud a nord è complicato e costoso.
“Puntare sulle rinnovabili” non è una soluzione al problema energetico italiano a meno che non si trovi da qualche parte un’altra fonte non intermittente che possa sostituire il gas. Questa può solo essere il nucleare, come dimostra proprio il caso spagnolo, ma si torna al punto di partenza su tempi non compatibili con la sopravvivenza del sistema industriale italiano. L’unica soluzione per l’Italia è trovare gas economico e sfidare l’Unione europea sulla “carbon tax” e, nel frattempo, attrezzarsi per il nucleare.
Non è chiaro quanti alleati possa trovare l’Italia in questa battaglia perché le condizioni attuali pongono le basi per un travaso di fabbriche dall’Italia al resto d’Europa. Si potrebbe, forse, approcciare il problema spezzando il mercato energetico italiano in modo da garantire prezzi più bassi alle regioni con abbondanza di sole e vento. È una soluzione che farebbe impallidire, per l’impatto, qualsiasi proposta di federalismo fiscale per quanto estrema.
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