Non sono contro la transizione energetica, ci mancherebbe, ma la ventina di associazioni e comitati ambientali e territoriali mobilitati per gli Stati Generali contro l’eolico e il fotovoltaico a terra in difesa del Belpaese si appellano all’articolo 9 della Costituzione che riconosce il fondamentale diritto alla tutela del paesaggio e patrimonio artistico e storico. Domani a Roma, su impulso degli Amici della Terra, s’incontreranno sindaci, consiglieri comunali, consiglieri regionali, parlamentari e rappresentanti dei territori maggiormente colpiti dall’impatto delle pale eoliche e delle sterminate distese di pannelli senza regole. Dal Foggiano al Viterbese, dai crinali della Basilicata al Beneventano, Molise, Tuscia, Sardegna e Appennino tosco-emiliano, l’elenco si allunga ogni mese che passa.



La deriva delle energie verdi è, secondo gli organizzatori, che lo sviluppo delle rinnovabili è risultato squilibrato: troppe richieste e pochi benefici per gli abitanti ponendo in contemporanea a rischio la tutela del territorio. “Siamo rappresentanti e ospiti di terre e città antiche dove natura e cultura, bellezza e civiltà sono inscindibili, da secoli. Siamo custodi di un’identità comune, preziosa per l’intero Paese. Luoghi e comunità falsamente raccontati come Italia minore che, invece, sono unici al mondo per l’opportunità che offrono di testimoniare il passato e, insieme, di promettere un futuro singolare e innovativo. Per anni ci siamo battuti contro abbandono e spopolamento e, ora, il sogno di riuscire a realizzare insieme conservazione e innovazione viene spazzato via da progetti di industrializzazione uniforme e forzata di tutto il territorio naturale e agricolo, indipendentemente dalle diverse vocazioni e aspirazioni”, si legge nel manifesto.



Così come negli anni del boom l’indiscriminata cementificazione lasciò sul paesaggio ferite mai rimarginate e poca crescita locale, anche l’attivismo dei promotori di campi eolici e fotovoltaici che serpeggiano le campagne e piantonano gli uffici comunali per ottenere la trasformazione di un terreno da agricolo a “edificabile” non crea lavoro e benessere duraturo in loco. Si tratta figurativamente dell’esproprio del paesaggio, della natura, e della biodiversità che andrà a beneficio di imprese che portano la ricchezza prodotta e profitti altrove. Imprese che non rischiano il proprio denaro, ma incassano incentivi sicuri (incentivi statali garantiti per N anni) prelevati dalle bollette dei cittadini utenti e dalle attività produttive reali.



Per fermare l’invasione, gli Stati Generali delle aree interne contro eolico e fotovoltaico a terra chiedono che:

1) i pannelli fotovoltaici debbano essere installati solo sulle superfici edificate, sulle aree degradate o nelle aree di bonifica, al di fuori dei centri storici;

2) debba essere cancellata ogni forma di incentivo e bandita ogni forma di speculazione a spese delle comunità locali;

3) gli impianti energetici da fonti rinnovabili possano essere insediati solo ed esclusivamente nelle Aree idonee definite dalle Regioni, in base a linee guida, senza produrre ulteriore consumo di suolo;

4) nelle more dell’individuazione delle aree idonee si sospendano nuovi insediamenti;

5) vengano abrogate le norme che consentono gli espropri di terreni agricoli per la realizzazione di progetti di rinnovabili.

Che l’infatuazione dell’opinione pubblica per le energie rinnovabili sia in affanno lo ha fiutato la neoeletta Governatrice della Sardegna Alessandra Todde che ha appena fatto approvare una moratoria per sospendere per 18 mesi l’installazione di nuovi impianti di energie rinnovabili. Si allinea alla posizioni della politica grillina anche la Segretaria del Partito democratico Elly Schlein dichiarando: “Non è con la speculazione delle multinazionali che coprono con l’eolico e il fotovoltaico le nostre Regioni che noi faremo la transizione energetica, ma coinvolgendo le popolazioni locali e facendo decidere a loro dove e come fare la transizione”.

Porre un limite al proliferare di pannelli e pale nei campi quando il Paese si impegna ad aggiungere 70 gigawatt di capacità rinnovabile entro il 2030 risulta come un problema matematico irrisolvibile. Ma se invece di confondere il mezzo (le rinnovabili) con l’obiettivo (decarbonizzare), il problema apparirebbe già più risolvibile.

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