Nella settimana in cui la crisi politica volge a una soluzione decisiva per il futuro dell’Italia (e dell’Europa) e dalla manifattura arrivano buone notizie per la nostra economia – l’Eurozona si mostra resiliente (indice PMI a 54,8), l’Italia è al Top dal 2018 (55,1) -, i metalmeccanici rinnovano il loro contratto nazionale.



Per sindacati e parti datoriali non era facile raggiungere un risultato soddisfacente per più ragioni: il contratto del 2016 aveva introdotto novità importanti – su welfare e formazione in particolare – in parte disattese in questi anni; e, in modo deciso, trasferiva il compito di distribuire ricchezza alla contrattazione di secondo livello, principio che non era facile rivedere dato che, nei fatti, costituisce una condizione agevole per le imprese che vedono così controllata l’incidenza del costo del lavoro sui loro conti.



Del resto, nel 2016, le difficoltà per il settore erano pesanti: il manifatturiero metalmeccanico aveva perso un quinto della sua forza produttiva e non era semplice, soprattutto in virtù della sua conformazione (oltre il 90% sono micro imprese), raggiungere un accordo che – per quanto necessario – non pesasse oltremodo su ciò che a fatica era sopravvissuto alle intemperie della grande crisi. L’intesa alla fine era stata raggiunta attorno al potenziamento del potere d’acquisto e attraverso strumenti di welfare aziendale. Per quanto la soluzione fosse valida – anche perché trovava sponda negli sgravi resi strutturali dal legislatore su premialità variabile e welfare contrattuale – il problema del salario restava aperto.



Va detto che all’epoca si registrava una prova di responsabilità molto importante da parte dei sindacati: Stefano Franchi, dg di Federmeccanica, non ha mancato di dire più volte che lo spirito di quel rinnovo era oltre le pagine di quell’accordo che in molti definivano storico, anche perché ricompattava il settore dopo il caso Fiat e dopo anni di rotture.

Si è così andati incontro a un nuovo ciclo che all’inizio è stato incoraggiante. Era il periodo (2016-2017) in cui il piano Industria 4.0 andava davvero forte, i livelli di crescita della produzione industriale italiana erano superiori a quelli tedeschi. Poi, però, in Europa è iniziata la fase della crescita debole – e se rallenta l’Europa il nostro metalmeccanico ne soffre di conseguenza – giunta al suo culmine con la contrazione economica dovuta alla pandemia.

La notizia più importante che emerge dal rinnovo di questi giorni è che lo spirito del 2016 è ancora vivo. Non era semplice, le difficoltà del negoziato erano molte: in particolare, in questi anni, il diritto soggettivo alla formazione non ha funzionato e la contrattazione di secondo livello non è mai decollata; se poi pensiamo che è questo uno dei settori più esposti alle oscillazioni dell’economia, non è difficile comprendere quanto l’accordo raggiunto la scorsa settimana sia un risultato importante.

Le imprese riconoscono un aumento del 6,15% del salario (112 euro di aumento in busta paga calcolate sul 5° livello), viene confermato l’impianto del welfare integrativo del contratto precedente, è rinnovato l’impegno sulla formazione delle persone e sono individuate soluzioni per rendere esigibile il diritto soggettivo dei lavoratori (piattaforma nazionale e tecnologia blockchain per il monitoraggio).

Ma la parte più innovativa del contratto è la riforma dell’inquadramento professionale, fermo al 1973. Finalmente si passa dalla fabbrica fordista all’industria 4.0, sempre più orientata alle capacità cognitive e trasversali delle persone: autonomia, responsabilità, partecipazione al lavoro di gruppo, polivalenza, polifunzionalità, miglioramento continuo e innovazione. È chiaro il passaggio da criteri collettivi di inquadramento a criteri di inquadramento sempre più personalizzati, un salto decisivo per chi rappresenta lavoratori e lavoratrici (le aziende sono più orientate a logiche di merito della persona).

Vi è poi il capitolo sulla partecipazione: in particolare, nelle aziende che occupano complessivamente almeno 1.000 dipendenti e con almeno un’unità di 500, si costituiscono organi consultivi per un più incisivo coinvolgimento dei loro rappresentanti sulle strategie industriali, di investimenti e occupazionali; si avviano commissioni per la partecipazione organizzativa, di cui a Milano vi è stata in questi anni una sperimentazione significativa.

L’industria europea è a un punto di svolta: le grandi risorse del Next Generation Eu – che già la Commissione Juncker stava mobilitando per rispondere alla crescita debole del 2017-2018 – sono una grande occasione per la nostra manifattura, in particolare metalmeccanica. È questo un comparto che vale quasi il 10% del nostro Pil e che contribuisce per il 50% del nostro export. L’eccellenza della nostra componentistica e della nostra meccanica di precisione si vede da questo, da quanto i prodotti made in Italy sono inseriti dentro le catene globali del valore, generando in modo continuo processi innovativi del prodotto finale. La grande occasione è proprio quella di crescere insieme all’Europa che è piattaforma industriale importante nel mondo: non dimentichiamoci che non solo siamo il secondo Paese manifatturiero dell’Ue, ma che l’Italia è anche il più importante partner industriale della Germania, epicentro dell’industria del Vecchio Continente.

Questo rinnovo arriva al momento giusto. I meccanici fanno quadrato sullo sforzo che li attende per la crescita del Paese e mandano un messaggio chiaro al Prof. Draghi: più che il salario minimo legale, serve liberare strumenti per lo sviluppo economico. È naturalmente questa un’altra storia: tuttavia, la stessa direttiva della Commissione europea sul salario minimo adeguato (novembre 2020) lascia la libertà agli Stati membri di conformarsi liberamente o attraverso la legge o attraverso i contratti di lavoro. Il punto però è un altro: per quanto nessuno possa negare che, per ragioni diverse, la rappresentanza di lavoro e impresa abbia perso molto appeal in questo decennio, resta da capire chi può, in alternativa, consegnare al sistema dell’economia e del lavoro quel patrimonio imprescindibile che è la contrattazione collettiva.

Twitter: @sabella_thinkin

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