È diventato cieco, ma resta lucidissimo Rino Formica, l’ultimo grande vecchio della politica italiana. Per l’ex socialista è «passione e contaminazione». Nell’equilibrio tra queste due componenti si riscontra la differenza tra la buona e brutta politica, infatti si ha la prima se si fa «prevalere la passione sulla contaminazione». Ne parla al Corriere della Sera, in un’intervista in cui parla anche di Aldo Moro, di cui gli parlò per la prima volta don Michele Mincuzzi, insegnante di religione e fervente repubblicano diventato poi arcivescovo di Bari. «Aveva forti convinzioni; infatti poteva permettersi di essere flessibile». Invece, definisce Nenni «un ribelle», «un rivoluzionario che voleva rovesciare lo Stato». Era amico del Mussolini socialista, ma non lo si poteva nominare, come gli consigliò Bettino Craxi. «Non nominargli il Duce, che lo manda in bestia».

A proposito di Craxi, Formica ricorda di aver vissuto una vita con lui. «Se era onesto? Personalmente, sì. Con tutti i dirigenti politici di tutti i partiti aveva in comune una convinzione: la lotta politica ha bisogno dell’arma del denaro; e il denaro si prende dove c’è. Ma la sua storia di esule è una storia di povertà. Mentre si è poi scoperto che molti moralisti erano sul mercato. E pure a buon mercato». Secondo Formica, l’errore fu decentrare la ricerca delle risorse. «Tanti si sentirono liberi di procacciarsene per sé e per i propri cari». All’epoca disse che Craxi aveva un poker d’assi, il suo riferimento era «alle informazioni che i servizi e la polizia avevano fornito ad Amato, che era presidente del Consiglio. Erano segnalazioni sul traffico telefonico dei componenti del pool».

“MELONI AL GOVERNO TRAMITE UNA MASCHERATURA”

Non deve sorprendere che i servizi spiassero i magistrati di Mani Pulite. «I servizi hanno come compito controllare tutto quello che avviene attorno al potere. Anche Mussolini era intercettato, i servizi ascoltavano le sue conversazioni con la Petacci. Certo, il confine tra la tutela delle istituzioni e l’intrigo è sottile. Dipende dall’uso che se ne fa», racconta Rino Formica al Corriere. E rivela che i servizi avevano scoperto «che un po’ tutti i magistrati del pool non erano stinchi di santo. Non solo Di Pietro. Ognuno aveva il suo corrispondente esterno: politico, religioso, internazionale. E ognuno aveva la sua ambizione: chi voleva fare il presidente del Consiglio, chi il presidente della Repubblica…». L’ex socialista fa riferimento a Borrelli, capo del pool: «Quando un magistrato appare in tv e dà ordini al Parlamento, già agisce come un aspirante capo di Stato». Peraltro, Formica andò a processo, ma fu assolto con formula piena su richiesta del pm, «il che provò che i pm avevano costruito un processo politico sul nulla».

Nell’intervista, comunque, ricorda anche Berlinguer, che «aveva una visione religiosa della lotta politica, come atto di fede assoluta. E coltivava un’ostilità inestinguibile per il Psi, che per lui rappresentava suo padre». Invece, Almirante era «un fascista che aveva capito di poter gestire la sconfitta, facendosi assorbire a poco a poco dal potere ufficiale». Quando gli viene chiesto se i suoi eredi siano al potere, Formica chiarisce che Meloni è «un erede viziato da viltà nei suoi confronti. La Meloni è arrivata al governo attraverso una mascheratura, e non ha la forza di dirsi la continuatrice di Almirante». Considerando poi gli errori dei rivali, anche della sua area, la ritiene «fortunata». Inoltre, la definisce «più furba che intelligente. Ma la furbizia in politica dura poco. Molto poco». Di sicuro, non la ritiene forte come viene descritta: «Invece è debolissima. Perché incontrare un politico più intelligente o più colto di te è difficile; ma incontrarne uno più furbo è molto facile».

LA POLITICA ITALIANA E LA DEBOLEZZA DI MELONI

Matteo Salvini, invece, gli sembra «un uomo del profondo Nord-Est». Giuseppe Conte «è il populismo che si fa governo e appare più accettabile; ma sempre populismo è». Elly Schlein «è il radicalismo che si fa moderazione; ma non è piegandosi alla moderazione che la sinistra andrà al potere». Al Corriere parla anche di Silvio Berlusconi, «bravo ad allestire la zattera dei profughi della Prima Repubblica; ma ha portato al governo un macchiettismo che non poteva non degenerare. Berlusconi era un populista da salotto. Che ha allevato i populisti di strada». Se deve ipotizzare il futuro dell’Italia, per Formica è legato alla politica estera. «Sono convinto che stia per nascere un nuovo ordine mondiale. La grande crisi della globalizzazione ha provocato le guerre. Se vogliono evitare la terza guerra mondiale, le grandi potenze ora devono imporre una tregua generale di sei mesi, e sedersi a un tavolo per trasformarla in una pace duratura. Una nuova Yalta».

L’Europa è debole, ma la responsabilità è anche italiana. «Le nostre classi dirigenti hanno perso la ragione, sono obnubilate dalle sirene populiste e antieuropee. Se alle prossime elezioni le forze europeiste italiane non batteranno un colpo, il Paese andrà incontro al disastro. L’unica speranza restano le classi dirigenti tedesche, francesi, spagnole, che hanno ben chiaro quanto l’unità europea sia necessaria per evitare ai singoli Paesi di soccombere e sparire». Qui si riscontra la debolezza della Meloni, che «non ha il sostegno della prospettiva. Non propria; altrui. Non interpreta la vita futura delle generazioni che non si sono ancora espresse». Infine, dall’alto dei suoi 97 anni, risponde così quando gli viene chiesto se crede nell’aldilà: «La penso come Pajetta: abbiamo mandato parecchie delegazioni, ma nessuna è mai tornata indietro».