Il rinvio a ottobre della discussione sulla ratifica del Mes, approvato ieri dal voto della Camera (195 sì, 117 contrari) non si è guadagnato stamane neppure un richiamo in prima sui molti giornali che per mesi hanno flagellato il Governo sulla necessità di dire sì al trattato. È vero, il problema si riproporrà tra pochi mesi, ma “il Governo è nelle condizioni per poter dire assolutamente no alla ratifica senza essere isolato a livello europeo” spiega al Sussidiario Lidia Undiemi, consulente tecnico in grandi vertenze di lavoro a livello nazionale, saggista su temi di politica ed economia internazionale.
Il Mes, secondo Undiemi, ha già perso la sua partita con la Bce, sono Francia e Germania a volere il sì dell’Italia – oltre all’apparato dello stesso Mes –, perché il Meccanismo garantisce l’impiego di formidabili strumenti di pressione politica e di controllo preventivo. Ma perfino Lagarde, che difende il Mes, oggi ha le armi spuntate.
Del Mes si riparlerà tra quattro mesi. Vuol dire che il problema è destinato a riproporsi.
Il Governo è nelle condizioni per potere dire assolutamente no alla ratifica senza essere isolato a livello europeo.
Invece è proprio quello che la Meloni teme: perdere potere negoziale nella complessa trattativa di cui il Mes fa ormai saldamente parte.
Il Mes è una istituzione intergovernativa: non facendo parte dell’Unione Europea, cioè essendo la sua governance separata da quella dell’Ue – pur collaborando con i vertici dell’Unione –, l’Italia non solo può, ma anche dovrebbe scinderlo dalle altre questioni sul tavolo.
Perché la riforma del Mes è così importante?
Perché il Mes è stato di fatto marginalizzato dalla Bce. Il Meccanismo europeo di stabilità ha necessità di riformarsi perché con gli interventi della Bce sotto la presidenza di Draghi, dal suo “Whatever it takes” e da quel “credetemi, sarà abbastanza”, il Mes è stato arginato, e dopo il 2012, anno in cui Cipro e Spagna sono entrati nel programma di sostegno e commissariati, nessun altro Paese vi ha fatto ricorso, a parte la Grecia che ha però proseguito i piani di commissariamento degli anni precedenti, quando ancora il Mes era per così dire in una fase di sperimentazione e agiva sotto la veste della cosiddetta Troika.
Allora chi è a difenderlo e a premere perché anche l’Italia ratifichi il trattato riformato?
In primo luogo, Francia e Germania, che sono gli azionisti di maggioranza del Fondo salva-Stati, perché attraverso il Mes possono esercitare sugli altri Paesi – in particolare quelli della periferia – delle pressioni che non sono consentite con quelle modalità “aggressive” all’interno dell’Unione Europea. In caso di crisi, invero anche solo potenziale, la Bce ha mostrato la sua capacità di intervento. È sufficiente leggere il trattato per accorgersi che contano i Paesi finanziariamente più forti, cioè con le quote maggiori.
E oltre a Parigi e Berlino?
Non è da escludere che le pressioni possano arrivare anche dall’apparato burocratico stesso del Mes, poiché è difficile immaginare che chi vi opera ormai da anni rinunci a un simile potere sui governi nazionali, specie se si considera che l’organizzazione intergovernativa gode di privilegi e immunità.
Però nel dicembre scorso è stata Christine Lagarde, presidente della Bce, a dire “speriamo che l’Italia ratifichi velocemente la riforma del Mes”, oltre ad aggiungere: “chiunque pensa che c’è un pivot si sbaglia”. Perché?
Lagarde è stata presidente del Fmi e il Mes è stato costruito basandosi sul modello di governance delle crisi tipico del Fondo monetario, quindi non c’è da stupirsi se in qualche modo spinga per favorire il Mes. C’è un precedente importante per capire il modus operandi di Lagarde. Nel marzo 2020, in piena pandemia, le sue dichiarazioni crearono un terremoto.
Quel “non siamo qui per ridurre gli spread dei bonds” che mise nei guai il Btp italiano. Intervenne anche Mattarella.
Una dichiarazione pericolosa che la stessa Lagarde dovette ritrattare. Dire che “non siamo qui per ridurre gli spread” è l’esatto opposto della missione della Bce emersa chiaramente anche nelle sentenze dei giudici europei, con cui è stato sancito di fatto il diritto-dovere di intervento in caso di crisi. Infatti aggiunse che per quello, cioè per ridurre gli spread, vi erano “altri strumenti”.
Si riferiva al Mes?
Credo proprio di sì. Ma questo, ripeto, avrebbe significato stravolgere le disposizioni della Corte di giustizia europea, che nel 2014 aveva già “smentito” l’approccio poi utilizzato da Lagarde, pronunciandosi sulla legittimità degli interventi di Quantitative easing della Bce rispetto al suo mandato di salvaguardia della politica monetaria. E il Mes infatti non ebbe poi più alcun ruolo. Neppure il tentativo di trasformarlo in Fondo monetario europeo (Fme) ha avuto successo.
Questa è una pagina per lo più trascurata, oscura.
Ed è comprensibile. Il tentativo – siamo nel 2017 – era quello di cambiare denominazione al Mes, ma la Bce, allora sotto la guida di Draghi, disse no e definì fuorviante il tentativo della Commissione europea di riformare il Mes in un Fondo monetario europeo.
Perché fuorviante?
Perché il termine “monetario” lasciava intendere che il Mes potesse assumere funzioni indebite di controllo della politica monetaria, che in realtà spettano in esclusiva al Sistema europeo delle banche centrali e dunque alla Bce.
Alla luce di queste considerazioni, che significato dobbiamo attribuire oggi al Meccanismo?
Il Mes ha cercato di riformarsi, inizialmente per provare ad invadere il campo della Bce, e siccome non ci è riuscito ora lo si vuol far sopravvivere con compiti e funzioni diciamo “collaterali” a quelli principali della Bce. Questo spiegherebbe il tentativo di potenziarne il ruolo nell’ambito della prevenzione delle crisi rafforzando le cosiddette condizionalità. Non solo: il Mes deve inoltre risolvere i problemi di compatibilità con le funzioni delle istituzioni dell’Ue, in particolare della Commissione e della Bce. Sono soluzioni che tentano di aggirare i problemi derivanti dal fatto che il Mes è una organizzazione extra-Unione Europea e parallela ad essa.
Se l’Italia non ratifica?
Senza la riforma, il Mes in vigore è destinato a non essere più impiegato, dunque a morire. Non sarà probabilmente più nelle condizioni di commissariare alcun Paese. La Bce ha vinto la partita contro i tedeschi – che avevano accusato la Bce di andare al di là del proprio mandato – riuscendo a salvaguardare il proprio ruolo di intervento in caso di crisi finanziaria.
Lei ha scritto che il Mes è apertamente contro lavoratori e sindacati. Perché?
Perché leggendo i protocolli di intesa firmati tra il Mes, la Grecia e dopo Atene gli altri Paesi che hanno fatto ricorso al Mes, emerge di fatto una lotta di classe al contrario: Mes contro lavoratori. Quando è intervenuto, il Mes ha attuato la sua matrice ideologica neoliberista con una severità senza precedenti. Provando a spazzare via molte tutele individuali dei lavoratori e intervenendo sulla contrattazione collettiva, tagliando i dipendenti pubblici e riducendo stipendi e pensioni. Tutto nell’interesse delle esigenze dei mercati, per intenderci: spinta alla concorrenza, alla produttività, alla flessibilità, ecc. I protocolli sono impressionanti.
E tutto questo senza rispondere a nessuno: il Mes è immune da ogni giurisdizione.
Non deve sfuggire che le richieste del Mes ai Paesi in difficoltà sono di natura squisitamente politica: cosa c’entra ad esempio la stabilità finanziaria della zona euro con la contrattazione collettiva, il taglio dei posti letto negli ospedali, i tagli allo stato sociale, all’istruzione e alla Pa? I protocolli sono la prova di interventi talmente invasivi, da configurare l’azione di vero e proprio governo sovranazionale, senza però alcuna legittimazione democratica.
Come mai secondo lei i sindacati stanno zitti, anzi addirittura difendono la ratifica?
L’unica risposta in buona fede è che non hanno approfondito l’argomento.
Forse bisognerebbe chiedersi se la stabilità finanziaria della zona euro prevista dal Mes, ma anche dai trattati europei, non richieda, per essere attuata, tutte le cose che lei ha detto.
Per carità, dentro questa espressione qualcuno può anche pensare di legittimare l’arbitrio politico, purché almeno si ammetta che è arbitrio. E poi, dovrebbe essere chi si pone alla guida di un Paese con il pretesto della “stabilità finanziaria” a giustificare – semmai fosse possibile – il nesso tra provvedimenti molto distanti dal funzionamento dei mercati finanziari e la crisi dei medesimi. Certo, suona strano che chi non ha saputo evitare le crisi dia le ricette per ritornare alla crescita.
Perché il Mes svelerebbe, come lei ha scritto, le vere intenzioni dell’Ue sul salario minimo legale?
Il salario minimo legale è stato oggetto di intervento da parte del Mes nel commissariamento di Grecia e Cipro. Oggi in proposito vige una direttiva europea, il cui obiettivo, a ben vedere, è anticipato proprio da quei protocolli. Nei piani di commissariamento citati emerge chiaramente come il salario minimo legale a livello europeo venga concepito come uno strumento attraverso cui garantire una maggiore possibilità di adattamento dei salari alle esigenze delle imprese, e non, come appunto si discute in Italia, una forma di tutela per i lavoratori, proprio contro una spinta al ribasso.
(Federico Ferraù)
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