Napoli nobilissima. E cialtronissima. Per accostarsi alla conoscenza della più incredibile città del mondo (una delle più incredibili) bisogna partire da questa constatazione: non c’è nulla di bello e alto che non abbia il suo opposto ripugnante e basso. Napoli è la città degli eccessi, nel bene come nel male.
Il rettore dell’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa, Lucio D’Alessandro, ci invita (ci sfida) a elaborare proposte per il rilancio della metropoli – una volta capitale di un Regno – dopo la pausa di riflessione indotta dal blocco delle attività come risposta all’aggressione del coronavirus.
Da dove ripartire? E per andare dove? Con quali forze? E attraverso l’uso di quali strumenti? Il dibattito si è aperto. E già questo è di per sé un fatto positivo. Ma si coglie tutto l’imbarazzo di chi si trova a compilare per l’ennesima volta l’elenco delle opere e delle intenzioni che puntualmente mancano.
Il richiamo alla responsabilità collettiva è d’obbligo. Così come l’auspicio che i politici facciano la loro parte con lungimirante visione, che gli imprenditori investano tenendo conto delle ricadute sociali e ambientali, che la burocrazia smetta di tendere trappole, che tutti i cittadini rispettino le regole.
È sinceramente troppo. Come si fa a orientare la coscienza di un’intera popolazione alla cura del bene collettivo nella consapevolezza che tutto ciò che oggi si dà ritornerà un giorno con gli interessi? Per riuscirci per davvero ci vorrebbe un incantesimo, una pozione magica, qualcosa di miracoloso.
Chi ha un po’ di anni sulle spalle ricorda la quantità esorbitante di convegni, seminari, tavole rotonde, interventi, interviste – in lieto assembramento, e sembra un’era fa – sul futuro della splendente e cadente Parthenope, nata dal sacrificio di una Sirena il cui destino è quello di ammaliare.
Chiunque abbia un po’ di esperienza di mondo sa che raramente si possono trovare tante meraviglie – naturali, storiche, artistiche – in così piccolo spazio. E tutti possono constatare in quale stato di conservazione si trovano, come sono gestite, quanto e quale benessere sono in grado di produrre.
Napoli dovrebbe essere la città più ricca del mondo e non lo è. Ha ingegno, talento e cuore ma anche il loro esatto contrario. In dosi uguali, potremmo azzardare, in modo che le une elidono le altre. E ci ritroviamo immobili a recriminare un presente che non ci piace sognando un futuro che non scorgiamo.
Solo innalzando il tasso di nobiltà – nel pensiero, nei gesti, nei comportamenti – e riducendo al lumicino il tasso di miseria spirituale che porta al cialtronismo possiamo immaginare che i tanti bei propositi sciorinati in prosa e in versi possano adattarsi a una realtà che accetta di cambiare in meglio.
È da qui che occorre cominciare. Ciascuno di noi impegnandoci a riconoscere e premiare il merito e a punire il pressappochismo, la sciatteria che toglie luce e smalto a ogni cosa. Non è impossibile. Basta agire in coerenza con quello che diciamo. Con un pizzico di coraggio, prendendo fiducia.
Il resto verrà da solo. Se per una volta la moneta buona scaccerà quella cattiva si allungherà la vista del politico, migliorerà l’investimento pubblico e privato, sarà meno asfissiante il giogo della burocrazia, si accorceranno i tempi della giustizia, i contribuenti faranno il loro dovere, si fiaccherà il malaffare. Il cambiamento siamo noi.