Il Talk Show Live curato dalla Fondazione per la Sussidiarietà al Meeting di Rimini ha avuto, tra i vari ospiti, Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, membro del Pd e presidente onorario di Legambiente, che ha guidato dal 1987 al 2003.

Lo abbiamo intervistato sul tema della sostenibilità, un termine inclusivo che a volte corre il rischio di diventare vago. “È vero, è un termine esteso”, ci ha detto Realacci, “ma per me si riferisce a una società più a misura d’uomo che fronteggia le crisi, a partire da quella climatica, con un cambiamento che rende l’economia più forte”. E Cita papa Francesco: “La cosa peggiore della crisi sarebbe sprecarla”. Secondo Realacci, l’economia a basso impatto ambientale dà grandi opportunità di sviluppo, e si può finanziare attraverso i fondi europei di risposta alla crisi sanitaria (Recovery Fund) e il nuovo bilancio europeo 2021–2027.



Che cosa è previsto per l’economia verde all’interno delle misure europee di contrasto al Covid?

l’Europa ci sta dando la direzione giusta: bisogna ricordare che le risorse del bilancio europeo sono al 30% destinate all’economia verde. Questi soldi, secondo l’Ue, vanno investiti su tre direttive: sanità e coesione, transizione ecologica ed economia digitale. Invece nel governo vedo molta confusione. Come quando la ministra delle Infrastrutture chiede di usare i soldi del Recovery Fund per fare il tunnel sotto lo Stretto: una cosa che non esiste.



Anche perché l’utilizzo dei fondi dovrà avere l’approvazione della Commissione Europea.

Lo ha spiegato chiaramente il commissario Gentiloni: dobbiamo presentare 6-7 punti al massimo e concentrarci su quelli. Non possiamo andare davanti alla Commissione con la strategia dello svuotacassetti, dove ogni ministero porta i suoi casi in sospeso sperando di ottenere fondi. È lo stesso errore degli Stati generali, che hanno elencato una miriade di problemi senza saperne indicare pochi, chiari, precisi.

Come valuta il sistema economico italiano dal punto di vista dell’impatto ambientale?

Mi fa arrabbiare che il tema in Italia sia sparito dall’agenda politica e dall’opinione pubblica, anche perché l’Italia è la superpotenza europea dell’economia circolare: recuperiamo il doppio delle materie prime della media europea, superando di molto i tedeschi. Risparmiamo 22 milioni di tonnellate di petrolio e 58 milioni di tonnellate di emissioni di Co2 perché, in quanto paese povero di materie prime, abbiamo reso le filiere produttive più efficienti. È stata un’innovazione sussidiaria: l’economia si è organizzata per far fronte a una sfida.



Lo smartworking può essere la chiave per un’economia a minore impatto ambientale?

Sì, ma va usato in modo intelligente. Lo smartworking ha reso attuale una battaglia che io conduco da tempo sulla valorizzazione dei piccoli comuni italiani. Spesso ci si scorda che molte importanti imprese italiane si trovano in luoghi remoti: secondo uno studio di Symbola e Coldiretti il 92% dei prodotti Dop e Igp vengono da zone rurali. E lo stesso vale per l’80% dei grandi vini. Sono luoghi che devono tornare di attrattiva per i giovani: i comuni rurali non sono più un piccolo mondo antico, ma un pezzo di una nuova avventura. Come disse Carlo Cipolla: la missione dell’Italia è produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo.

Come si applica il concetto di sostenibilità al rientro a scuola a settembre?

Sostenibilità, in questo caso, non vuol dire largo ricorso allo smartworking. Nel rispetto della sicurezza e delle distanze, credo che la componente umana all’interno della scuola sia fondamentale, e non possa avvenire da dietro uno schermo. Altrimenti si indebolisce l’insegnamento, soprattutto per i più giovani. Ma non solo: la creatività, a tutte le età, nasce dall’interazione con gli altri.

Oggi sostenibilità ambientale e crescita economica possono coesistere?

Sì. Penso al caso di Enel, un’azienda contro cui ho lottato molto nel mio passato, che fa un piano per la sostenibilità per arrivare a zero emissioni entro il 2050. Oggi non è solo l’azienda elettrica più forte al mondo nel campo delle rinnovabili, ma ha anche rafforzato la sua posizione nel mercato mondiale dell’energia.

Lei ha visto da vicino la storia dell’ambientalismo in Italia. Come vede l’ultima ondata dell’ambientalismo mainstream?

Le dico questo: a Greta vanno date risposte, non carezze. E spesso i suoi peggiori nemici sono coloro che la lusingano. E poi mi fa paura l’ondata oscurantista: penso ai No Vax, ma anche a quelli che protestavano contro l’abbattimento degli ulivi colpiti dalla Xylella in Puglia, che hanno peggiorato una situazione già grave. L’ambientalismo deve essere la cura, non il sintomo.

(Lucio Valentini)