Il più degli scenari economici per il 2020 non rileva né tendenze recessive gravi, né di crescita significativa del sistema globale. Non per questo sarà un anno tranquillo: la maggior parte degli analisti prevede un incremento della volatilità nei mercati finanziari. Questi oscilleranno in relazione al conflitto doganale America-Cina e alle probabilità di rielezione di Trump nelle elezioni di novembre. I mercati vorrebbero una riduzione duratura del primo perché limita gli investimenti e causa distorsioni depressive. Ma Trump concederà solo una tregua perché la limitazione del potere cinese è un programma ad alto consenso elettorale. I mercati vedrebbero bene la rielezione di Trump perché più convincente nel tenere in moto la locomotiva americana e suo traino dell’economia mondiale. Ma il ciclo espansivo sta trovando limiti tecnici. Da un lato, la politica monetaria cercherà di sostenerlo. Dall’altro, il raggiungimento di tali limiti richiede una recessione per ridare spazio alla crescita.
Trump sta cercando di rinviarla per motivi elettorali, ma il mercato annusa un 2021 incerto e ciò rende insufficiente la ripresa degli investimenti privati nel mondo. In sintesi, nel 2020 la domanda globale non crollerà, ma nemmeno invertirà la contrazione iniziata nel 2018.
Tale ipotesi implica che la locomotiva tedesca dell’economia europea, spinta dall’export, potrà riprendersi dalla recessione in atto, ma non al punto da trainare la crescita nel resto della regione. La crisi sociale in Francia è esplosiva. L’Italia, paradossalmente, è al momento la grande nazione socialmente più stabile nell’Ue, ma anche quella che cresce meno. In sintesi, manca nell’Ue una forza motrice. Questa implicherebbe massicci investimenti sul mercato interno per compensare l’incertezza dell’export. Ma la Germania non vuole fare investimenti in deficit. La Francia aumenterà la spesa in deficit, ma per sedare con assistenzialismo la rivolta sociale e non per investimenti produttivi.
L’Italia è bloccata dal suo debito enorme. La Bce dovrà abbandonare la politica monetaria che ne riduce i costi perché il continuarla implica tassi finanziari negativi, insostenibili se duraturi. In sintesi: non ci saranno traumi, ma l’Ue non sarà un moltiplicatore espansivo per le economie nazionali.
Pertanto l’Italia non potrà far altro che inventarsi qualcosa per esportare di più nel mondo, facilitando di più le sue imprese in tale missione. Ma questo Governo sta facendo il contrario.