Nel G20 di Roma, pur denso di convergenze diplomatiche, sono stati anticipati problemi che compromettono il successivo summit Cop-26 di Glasgow dedicato alle politiche di decarbonizzazione. Cina e India hanno fatto intendere che fino al 2060 non potranno puntare alla riduzione delle emissioni che producono l’effetto serra, (con)causa principale del riscaldamento stesso, per non rallentare il loro sviluppo.



Infatti, la sostituzione di carbone, gas e petrolio sarà un processo molto più lungo di quanto previsto. Pertanto l’obiettivo di neutralità carbonica dell’Ue entro il 2050 con un passo importante nel 2030, qualora fosse raggiunto, non avrebbe effetti globali. 

La prima considerazione economica è che aumenta il rischio di fenomeni atmosferici estremi, peraltro già visibili con la novità degli uragani nel Mediterraneo e le bombe d’acqua, e ciò impone di allocare molte più risorse per l’eco-adattamento, subito, cioè difese contro il rialzo del livello del mare, infrastrutture di rafforzamento idrogeologico, sistemi microclimatici contro caldo e freddo estremi, ecc. 



La seconda è che bisognerà aggiungere al mix di energie alternative (eolico, solare e idro) l’energia nucleare sia a fissione – già disponibile in formato di minireattori a sicurezza intrinseca -, sia a fusione, la seconda migliore perché priva di scorie, ma con tempi lunghi di applicazione. 

La terza riguarda un errore di calcolo da parte dell’Ue: al ritmo attuale degli investimenti non ce la farà a decarbonizzare nei tempi voluti e quindi resterà dipendente dai combustibili fossili per almeno 15-20 anni, vulnerabile ai prezzi decisi dai produttori, con rischio di inflazione. È necessaria una nuova ecopolitica per evitare guai. 



www.carlopelanda.com

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