Sbloccare 645 milioni per 45 cantieri non è cosa da poco in Italia. Soprattutto se avviene in Sicilia (stereotipi a parte) e all’interno di quel complesso normativo e funzionale che sono le Autorità portuali. Gli scali in questione sono quelli di Palermo, Termini Imerese, Trapani e Porto Empedocle. Il principale attore di questo miracolo si chiama Pasqualino Monti, che del Sistema portuale della Sicilia Occidentale è il Presidente.



I fatti e i numeri sono stati snocciolati davanti a una qualificata e numerosa platea di addetti ai lavori – imprenditori, professionisti, amministratori locali – e alla presenza dei rappresentanti di due tra le più importanti compagnie crocieristiche al mondo che nell’occasione hanno anche firmato un accordo per la gestione dell’apposito terminal. Circostanza che solo qualche mese fa poteva essere relegata nel libro dei sogni.



Così facendo Palermo e la Sicilia si candidano a conquistare un ruolo di primo piano nell’industria del turismo e allo stesso tempo una nuova centralità nel Mediterraneo. Pretesa, quest’ultima, per una volta agganciata a una solida realtà (verrebbe da dire). Attratta dal dinamismo di Monti anche Fincantieri ha deciso d’impiantare nell’area un polo per la costruzione delle navi che si aggiunga all’attività già esistente per le riparazioni.

Insomma, giunge dal profondo Sud un pacchetto di notizie che viaggia controcorrente e che mostra come coraggio, competenza e tenacia possano contribuire a superare gli ostacoli più difficili. In primo luogo, quella cortina di ferro chiamata burocrazia che per sua propria attitudine e per il disordinato fascio di leggi e regolamenti su cui si regge sembra fatta apposta per scoraggiare ogni iniziativa fino al punto della rassegnazione.



Per avviare l’opera più semplice, è stato spiegato una volta di più, occorrono almeno cinque anni. Un intero lustro per provare a schierarsi sulla linea di partenza. Il che vuol dire, alla velocità a cui viaggia la società di oggi, una piena era geologica. Poi viene tutto il resto con le ulteriori complicazioni che chiunque viva e operi nella realtà di tutti i giorni conosce e sperimenta. Tutto questo indipendentemente dalla buona volontà.

Non sfugge a nessuno, infatti, come l’impianto normativo messo a punto dal legislatore sia tristemente punitivo di chi abbia voglia di fare. La presunzione di colpevolezza domina su tutto e smorza ogni entusiasmo. Chi si propone di realizzare un progetto, grande o piccolo che sia, lo fa a suo rischio e pericolo tanto grossi e insidiosi sono gli ostacoli che si frappongono lungo il cammino. Ed è normale che agli annunci quasi mai seguano i risultati.

Si sente parlare spesso e volentieri di milioni e miliardi stanziati, ma è assai raro che in un tempo ragionevole si giunga alla spesa dei fondi previsti. Così languono gli investimenti e si contrae la ricchezza del Paese – tutt’ora la seconda manifattura d’Europa, ma fino a quando? – impegnando le poche risorse che restano ad apprestare pezze assistenziali anziché generare autentici posti di lavoro. E l’intenzione cattiva scaccia quella buona.

La domanda è perché occorra pretendere un coraggio ai limiti della temerarietà da chi si proponga semplicemente di agire facendo onore al proprio mandato. Non avevamo rivali nella capacità di ingegnare e costruire cose ardite – e all’estero continuiamo a farci onore -, mentre oggi sembriamo aver perso ogni attitudine perfino a una decorosa manutenzione di casa nostra.