L’istituto nazionale di statistica tedesco Destatis ha rivisto ieri al ribasso la stima sul Pil del terzo trimestre dell’anno portandola dall’1,8% all’1,7%. La Germania sta attraversando un momento non facile per via della ripresa dei contagi da Covid-19 che potrebbe avere ripercussioni sull’economia, cui la nostra è strettamente collegata. Inoltre, si sta per insediare il nuovo Governo guidato da Olaf Scholz, con il liberale Christian Lidner al ministero chiave delle Finanze, dove potrà ribadire la sua richiesta di contenere il debito pubblico non solo a Berlino, ma anche nel resto dell’Eurozona, Italia compresa. Per il nostro Paese, considerando anche il continuo rialzo dell’inflazione e dei prezzi delle materie prime, sembrano esserci alcune nubi all’orizzonte dopo un anno che si chiuderà con un Pil in rialzo di oltre il 6%. Un 2021, ci spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «estremamente positivo, tanto da andare oltre le previsioni di tutti gli istituti internazionali: basti pensare che a gennaio il Fmi stimava un +3% mentre probabilmente chiuderemo con un +6,2-6,3%. Comparando il livello del Pil raggiunto nel terzo trimestre con quello del quarto dell’anno scorso, nell’ambito dei Paesi del G20, e aggiungendo la Spagna, possiamo avere maggiore contezza del risultato ottenuto.



Cosa dice questa comparazione?

Che l’Italia, con il suo +5,6%, è seconda solo all’Arabia Saudita (+5,8%) e fa meglio di Regno Unito (+5,4%), Francia (+4,4%), Stati Uniti (+3,7%), Spagna (+2,4%), Germania (+1,8%), Cina (+1,6%) e Giappone (-1,4%). Non possiamo quindi parlare di rimbalzo: siamo di fronte a un’accelerazione della crescita, trainata in particolare dalla manifattura, dalle costruzioni e dalla ripresa dei servizi e dei consumi delle famiglie.



Cosa accadrà però nel 2022?

Ci sono incertezze relative alla situazione critica di molti nostri mercati dell’export, come la Germania. Ci sono Paesi che stanno vivendo una crisi pandemica più intensa della nostra. Abbiamo poi le incognite relative ai prezzi del materie prime e dell’energia e all’inflazione. Io penso che non ci si debba far prendere dal panico, ma che occorra cercare in qualche modo di controllare questi meccanismi inflattivi, anche all’interno del nostro Paese. Per esempio, le imprese dopo un 2021 brillantissimo dovrebbero cercare di non ribaltare subito sui consumatori i rialzi delle forniture e dei costi energetici, altrimenti c’è il rischio di generare una spirale prezzi-salari che è proprio quello che dobbiamo scongiurare.



In questo senso potrebbe essere d’aiuto un intervento sul cuneo fiscale che potrebbe consentire alle imprese di ridurre parte dei loro costi?

Sì, sono misure che possono aiutare. Credo comunque che tra le imprese ci sia la consapevolezza che occorra molta cautela, sia nella catena delle forniture che nel caso di vendita di beni finiti, prima di scegliere di traslare a valle questo momentaneo aumento dei prezzi. Sarebbe bene non prendere decisioni che rischiano di frenare la domanda. Tornando alle previsioni sul 2022, non dobbiamo dimenticare che l’Italia, insieme alla Spagna, ha un’arma in più rispetto ad altri Paesi da utilizzare.

Quale?

Un ammontare più ingente di risorse del Recovery fund. Scaricare a terra un po’ di investimenti del Pnrr servirà anche a dare continuità alla crescita che l’economia è riuscita a realizzare nel 2021 senza che fosse speso un euro del Next Generation Eu. Ovviamente sarà importante che il Governo metta in campo quel che occorre perché questi fondi non vengano sprecati.

La nascita del nuovo Governo tedesco con Lidner ministro delle Finanze ci deve preoccupare?

Aspetterei un attimo di vedere come sarà questa fase di passaggio di potere in Germania prima di dare un giudizio. So che ci sono preoccupazioni riguardo il ruolo che il nuovo esecutivo di Berlino potrà avere nelle trattative sulla riforma delle regole del Patto di stabilità e crescita. Da questo punto di vista credo che sia necessario che l’Italia, che può contare anche sull’autorevolezza di Draghi, tiri fuori delle proposte, dei dati.

Per esempio?

Si parla tanto del rapporto debito/Pil, ma non del suo grado di esposizione esterna. Guardando ai principali Paesi dell’Eurozona, escluse Irlanda (visto che il suo Pil dipende molto dalle sedi legali di diverse multinazionali) e Grecia (ancora in fase di convalescenza), notiamo che il debito finanziato dall’estero su Pil dell’Olanda si attesta al 20,5%, quello della Germania al 31,4%, quello della Finlandia al 42,2%, quello dell’Italia al 46,4%, quello della Spagna al 52,6%, quello dell’Austria al 52,9%, quello della Francia al 56%, quello del Belgio al 63% e quello del Portogallo al 66,2%. Quindi, gran parte del debito/Pil dell’Italia è finanziato attraverso la ricchezza finanziaria netta privata interna. Per dare un altro numero, la Francia a fine 2020 aveva 1.289 miliardi di debito pubblico finanziato da stranieri, contro i 768 dell’Italia. Sarebbe ora di portare queste cifre al tavolo dei negoziati. Senza dimenticare altri dati importanti.

Quali?

A parte il fatto che, a differenza di molti altri Paesi cosiddetti frugali, abbiamo avuto per molti anni un avanzo primario di bilancio, l’Italia, dal punto di vista della bilancia commerciale, ormai è diventata un Paese creditore verso l’estero.

Per l’Italia saranno molto importanti anche le scelte della Bce. Lei cosa si aspetta?

Secondo me, la Bce non modificherà la sua politica di fondo. Le dichiarazioni dei suoi rappresentanti fanno capire che l’Eurotower continua a ritenere che il fenomeno relativo al rialzo dei prezzi delle materie prime e dell’energia possa essere transitorio, e per il momento pare abbastanza ragionevole pensarlo.

(Lorenzo Torrisi)

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