Nuovi dati portano ad aggiornamenti ulteriori degli scenari non solo economici, ma anche geopolitici. Il recupero di ben 2,5 milioni di posti di lavoro in America nel mese di maggio, mentre parte della nazione era ancora in blocco antivirus, hanno invertito la tendenza alla disoccupazione verso un depressivo 20% e oltre: ora è probabile un suo calo in poco tempo. L’America, tipicamente, fa i due terzi del Pil via consumi e investimenti interni e meno con l’export: ciò significa che la crescita soffrirà di meno dal rallentamento della domanda globale e la renderà robusta nel 2021. Ma anche che Washington ritrova un’economia interna forte che le permette di proiettare all’esterno il massimo potere. Ciò implica, semplificando, la continuazione della pressione contro la Cina.



La Germania ha reagito a una ripresa lenta del suo export – che vale il 52% del Pil – pompando un megastimolo fiscale e nel proprio mercato interno, ricorrendo all’indebitamento e, a sorpresa, abbandonando il rigore. Tale svolta è anticrisi, ma anche spinta dalla strategia di confermarsi europotenza egemone con capacità condizionanti sulle altre nazioni e di non trovarsi debole nelle relazioni con America e Cina.



La Bce ha aumentato di 600 miliardi la cifra destinata a comprare eurodebiti, ha allungato tale programma fino al 2021 e ha fatto capire che potrà trattenere a lungo nel suo bilancio i debiti comprati, così sterilizzandoli. Tale posizione “salva-Europa” non sarebbe stata possibile se Berlino non avesse tacitamente acconsentito. Infatti, la Germania non vuole crisi dell’euro e dell’Ue nel momento in cui emerge più nettamente come potere dominante. La Francia tenta di bilanciarla, ma bisognosa di aiuto deve adattarsi.

L’Italia avrà vantaggi dall’accelerazione dell’export verso America e Germania, ma per ottenerli dalla prima dovrà essere più cauta nelle relazioni con la Cina. E dovrà dare a Berlino qualcosa in cambio: attivare più capacità proprie ridurrebbe il prezzo.



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