Con una precisa analisi dei dati del decennio che ci siamo da poco lasciati alle spalle, Marco Fortis sul Sole 24 Ore ha evidenziato come, al netto del contributo del settore pubblico, il valore aggiunto dell’Italia nel triennio 2015-17 sia cresciuto più di quello di Francia e Germania. Per il vicepresidente della Fondazione Edison, “misure come gli 80 euro, il Jobs Act, le decontribuzioni e il Piano Industria 4.0 ci hanno permesso di performare a lungo nella seconda metà del decennio scorso meglio dei tedeschi e dei francesi nel settore privato”. Queste politiche, dal suo punto di vista, “andrebbero proseguite”.



Professore, come mai siamo comunque rimasti dietro la crescita della Germania negli scorsi anni?

La Germania è stata la locomotiva d’Europa grazie a un contributo di Pubblica amministrazione, difesa, sanità e istruzione pari a circa un terzo della crescita del suo valore aggiunto. Quindi quel che sembra avere fatto la differenza di crescita è stata la spesa pubblica.



Che la Germania a differenza nostra ha potuto e può fare avendo i conti pubblici in ordine…

Se è così allora è bene chiarirlo: noi abbiamo un rapporto debito/Pil alto e non possiamo contribuire, come fa la Germania, alla crescita con la spesa pubblica. Non è quindi certo per colpa di industria, agricoltura, commercio o turismo se sfiguriamo coi tedeschi. È bene guardare ai numeri. Dal lato della domanda, infatti, possiamo notare che il contributo maggiore alla crescita del Pil italiano nel periodo 2015-17 è venuto dai consumi delle famiglie e dagli investimenti tecnici delle imprese in macchinari e mezzi di trasporto. Si tratta di due voci stimolate dagli 80 euro in busta paga e da Industria 4.0.



Pensando quindi al vertice di maggioranza di fine mese, cosa dovrebbe fare l’esecutivo in base all’analisi dei dati che ha fatto?

Dovrebbe dire che bisognerebbe riportare la massa di denaro spendibile con la flessibilità di nuovo su misure per i consumi e per incentivare gli investimenti delle imprese. Non si può fare, ma bisognerebbe eliminare Quota 100 e Reddito di cittadinanza per destinare le risorse alla riduzione del cuneo fiscale a favore dei lavoratori e a rendere strutturale il super ammortamento di Industria 4.0. Quest’ultimo comporterebbe sì un aggravio di minori entrate per lo Stato nel medio lungo termine, ma avrebbe un impatto positivo immediato sul Pil e farebbe crescere il gettito Iva. Questi sarebbero gli elementi basici per poter almeno parare la stagnazione che abbiamo davanti. Sappiamo però che su certi provvedimenti non si può tornare indietro.

Le risorse non si possono reperire altrove?

Per recuperare le risorse non bisogna ingegnarsi ad aumentare tasse altrove, bisognerebbe avere la mano libera per modificare alcune misure come il reddito di cittadinanza e Quota 100. Ma temo sia impossibile cambiare dei provvedimenti bandiera senza far cadere un Governo. Inoltre, quanto meno per Quota 100, c’è anche il problema di non poter modificare continuamente la legislazione senza creare effetti negativi e un nuovo caso esodati. Nonostante la storia ci dica che avevamo trovato un modo per crescere, abbiamo perso l’occasione di continuare ad affidarci a esso.

Non può aiutarci in qualche modo l’Europa a crescere? Gentiloni, intervistato da Repubblica, ha detto che la politica monetaria della Bce non basta, “dobbiamo accelerare sugli investimenti, in particolare per quanto riguarda quelli legati alla sfida del Green Deal, sull’utilizzo degli spazi per politiche espansive da parte dei Paesi che hanno maggiori margini di manovra, sul coordinamento delle politiche di bilancio e sulle politiche fiscali che riguardano energia, digitale e tassazione d’impresa”.

L’Europa deve giustamente accelerare queste politiche di cornice che possano permettere una ripresa complessiva dei vari Paesi. Queste politiche consentono di avere un trend, un vento favorevole, che però va colto. Ciascun Paese, in base alle sue possibilità, deve cercare di fare il possibile per sfruttare queste correnti. In fondo anche nel 2015-17 l’Italia è stata in grado di sfruttare le correnti favorevoli del Qe e della flessibilità europea in cambio di riforme. Siamo in un momento in cui l’Europa, vuoi perché è cambiata la Commissione, vuoi perché c’è una maggiore consapevolezza del fatto che le politiche di eccessiva austerità del passato hanno creato problemi a tutti, compresi i Paesi falchi, può creare un clima favorevole, ma i Paesi non possono pensare che la ciambella di salvataggio arrivi solo da Bruxelles: occorre che facciano qualcosa.

Cosa potrebbe fare l’Italia?

Nel quadriennio 2015-18 abbiamo avuto in Italia una crescita media di tutte le attività economiche dell’1,7% l’anno. Ma ci sono settori produttivi che sono cresciuti del 3% medio annuo e altri che sono rimasti a zero o hanno avuto performance negative. Dobbiamo quindi non solo sperare che l’Europa continui a darci una mano con investimenti green e flessibilità, ma chiederci come mai l’industria manifatturiera sia mediamente cresciuta tra il 2015 e il 2018 del 4% l’anno, mentre il settore banche e assicurazioni è andato indietro dell’1,6%. O perché le amministrazioni pubbliche abbiano fatto registrare un -1,7% medio annuo, mentre il settore alloggio e ristorazione un +3,2%. Occorre quindi intervenire su quei settori che decrescono.

In che modo?

Il settore pubblico potrebbe crescere molto di più se fosse più produttivo, più efficiente, ma non vediamo azioni su questo fronte. Era iniziata una digitalizzazione della Pa, ma poi si è fermato tutto. In secondo luogo, invece di collegare in maniera così astrusa il reddito di cittadinanza alla ricerca di un nuovo posto di lavoro, bisognerebbe potenziare e rendere veramente efficienti i Centri per l’impiego che in alcune regioni non sono informatizzati o propongono corsi di formazione non adeguati. Bisognerebbe occuparsi veramente delle parti dell’economia che crescono e di quelle che non crescono. Dalle prime possiamo imparare, per le seconde possiamo cercare di mettere in campo delle azioni di politica economica mirate, ben pensate, per rilanciarle.

Tra queste a quali darebbe la priorità?

Sicuramente in questo momento l’Italia ha una necessità importantissima di centrare maggiormente l’attenzione su due temi. Il primo riguarda le professioni tecnico-scientifiche, visto che c’è una carenza di offerta e restano scoperte delle posizioni sul mercato del lavoro: quindi andrebbe fatto un discorso serio sulla scuola e sulla formazione. Il secondo riguarda le politiche per la famiglia. Anche perché ci sono intere aree del Paese dove le donne non partecipano al mercato del lavoro per la carenza di servizi sociali: si trovano quindi a dover scegliere tra la famiglia e il lavoro. È chiaro che questo tipo di iniziative hanno un ritorno elettorale minimo nel breve periodo. Questo è il vero problema: l’Italia sembra purtroppo condannata alla ricerca del consenso politico di breve periodo.

(Lorenzo Torrisi)