Con l’aggiornamento del World Economic Outlook comunicato dal Fmi alla vigilia del World Economic Forum di Davos, l’Italia si conferma indietro come crescita economica rispetto al resto dell’Eurozona. Quest’anno infatti il nostro Pil dovrebbe aumentare dello 0,5% contro una media dell’area euro dell’1,3%. Intanto la Germania, che ha chiuso il 2019 con Pil al +0,6%, dato peggiore degli ultimi sei anni, dà segni di ripresa, stando almeno all’Indice Zew di gennaio diffuso ieri, salito a 26,7 punti rispetto dai 10,7 di dicembre, ben oltre le previsioni che parlavano di 15 punti, facendo segnare il livello più alto da luglio 2015. Abbiamo chiesto un commento a Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Professore, perché l’Italia non cresce abbastanza e resta sempre indietro rispetto agli altri Paesi europei?

La causa principale sta nel fatto che molti settori della nostra economia da un lato sono stati interessati da poche riforme, dall’altro sono poco esposti alla concorrenza internazionale, anzi hanno talvolta delle caratteristiche di rendite di posizione che li rendono poco efficienti, dinamici e produttivi. Un tempo questo scenario riguardava un po’ tutto l’insieme dei nostri comparti, ma il rafforzamento che via via c’è stato della nostra industria, il fatto che a settori che hanno conosciuto un declino ne sono subentrati altri più dinamici, hanno fatto sì che nel momento in cui sono state effettuate un po’ di riforme e sono state adottate delle politiche economiche pro-impresa, come Industria 4.0, ci sia stato un exploit di alcuni importanti comparti.



Ha dei numeri al riguardo?

Sì, andando a vedere il valore aggiunto, che è sostanzialmente il Pil prima delle imposte, in pratica l’ossatura del Pil, l’Italia appare in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, come Germania, Francia e Spagna. Ma guardando ai comparti, come ho evidenziato sul Sole 24 Ore di oggi (ieri, ndr), notiamo che considerando agricoltura, industria, commercio, trasporti e turismo nel 2017, rispetto all’anno precedente, abbiamo avuto una crescita dell’1,4%, più alta dell’1,3% della Germania, dell’1,2% della Spagna e dello 0,7% della Francia. Nel 2007 il nostro dato era +0,9%, contro il +1,8% tedesco, il +1,2% spagnolo e il +0,8 francese. Gli interventi sul mercato del lavoro, sugli investimenti delle imprese e le riforme fatte hanno quindi dato i loro frutti.



La nostra economia resta però lontana dai livelli pre-crisi…

Dobbiamo capire che oggi la nostra economia non è più quella di prima. È come se anziché una squadra di 11 giocatori con 4-5 elementi scarsi, ne avessimo una di 7-8 tutti capaci. La crisi ha fatto una sorta di selezione, sono rimasti i settori più forti, con imprese che producono molto più di prima. È il sistema nel suo complesso che non produce più come prima della crisi. Riferendoci sempre al 2017, la crescita totale del valore aggiunto italiano è stata dell’1,9% e ben l’1,4% è arrivato da agricoltura, industria, commercio, trasporti e turismo.

E negli altri settori cos’è successo?

Nei comparti Pubblica amministrazione, difesa, sanità, educazione, il contributo è stato negativo dello 0,1% (in Germania è stato del +0,6%). Per professioni, comunicazioni, attività finanziarie è stato del +0,4%, mentre in Germania, Francia e Spagna del +0,9%. Guardando a costruzioni e attività immobiliari, la crescita è stata dello 0,2%, più alta solo del -0,1% tedesco e più bassa dello 0,3% francese e dello 0,5% spagnolo. Nei settori diversi da quelli produttivi core, nel nostro Paese non c’è stato alcun cambiamento sostanziale negli ultimi anni e siamo quindi rimasti indietro rispetto agli altri.

Cosa pensa dell’Indice Zew salito oltre le aspettative a livelli che non si vedevano dal 2015?

A prescindere dall’orientamento di questo indice di fiducia, la Germania si trova ad affrontare due difficoltà principali per il suo modello: l’export frena, e in ciò il rallentamento cinese fa sentire il suo peso; la manifattura è prevalentemente concentrata sull’auto e ancora non si sa bene qual è il futuro di questo settore. È un momento difficile per la Germania, che però, vista la sua forza, può anche permettersi il lusso di stare due-tre anni in una sorta di limbo, senza fare da locomotiva per l’Europa. Il vero problema riguarda quindi gli altri Paesi europei.

Dunque l’Italia più che aspettare il traino esterno dovrebbe cercare di smuoversi puntando, come ha evidenziato prima, sulle riforme. C’è il clima giusto nel nostro Paese per farlo?

Purtroppo mi pare di no. La maggioranza di governo dovrebbe decidere cosa vuole fare e c’è da augurarsi che soprattutto i grillini rinuncino a questa sorta di atteggiamento oltranzista alla ricerca di misure a effetto che non incidono però sulla crescita, come il reddito di cittadinanza. Occorre un piano di riforme che non può non interessare le professioni, le banche, la finanza, dove siamo indietro rispetto agli altri Paesi. È importante poi costruire un modello di istruzione in grado di formare quelle professionalità necessarie alle imprese che hanno investito in Industria 4.0. Bisogna rafforzare i Centri per l’impiego, portare avanti il piano solo iniziato di digitalizzazione della Pa, investire sulle opere pubbliche, ridurre i tempi della giustizia. Il problema è che queste riforme hanno ritorni di medio lungo periodo e i politici guardano solo al breve.

(Lorenzo Torrisi)