Mentre prosegue l’iter parlamentare della Legge di bilancio, il Governo lavora al decreto ristori-quater, che dovrebbe contenere anche un rinvio delle scadenze fiscali fissate per fine mese. La Banca d’Italia nel frattempo ha lanciato un allarme sul 2021, evidenziando che la ripresa dell’economia sarà più lenta del previsto, vista anche le frenata del Pil nel quarto trimestre del 2020. Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, non nasconde inoltre che «la lentezza che sta contraddistinguendo l’azione del Governo sia per quel che riguarda i ristori alle categorie più colpite dalle misure di contenimento dei contagi, sia nella parte progettuale per il post-pandemia, preoccupa alquanto».



Cosa la preoccupa in particolare dei ristori?

Non è tanto una questione di quantità di risorse stanziate, visto che a differenza di altri Paesi europei i nostri margini di manovra, data la situazione dei conti pubblici, sono limitati. Il vero problema è che temo che le procedure siano lente e che quindi, come avvenuto in primavera, le risorse possano arrivare tardi, specie a quelle categorie per le quali il lockdown è veramente pesante, come nel caso del turismo e della ricettività. C’è chi ha già deciso di non riaprire fino a primavera visto che ormai la stagione sciistica appare compromessa.



Bisognerebbe insomma migliorare la macchina dei ristori…

Non ci sono dubbi al riguardo. I ristori non devono essere fatti per i commercialisti, ma per quei piccoli imprenditori che già sono provati e non si capisce come possano destinare le loro residue forze a capire come poter ricevere gli indennizzi. Gli altri Paesi riescono a trovare dei canali veloci con cui intervenire sull’economia, l’Italia no. Norme complicate e burocrazia fanno sì che le imprese debbano spendere soldi per avere il supporto di un esperto e tempo per capire come muoversi correttamente per ottenere le risorse cui hanno diritto e che di certo non coprono in pieno le perdite subite.



Rischiamo davvero un rallentamento della ripresa come segnala la Banca d’Italia?

Rispetto al lockdown di primavera non sono state chiuse le attività produttive. Ci sono quindi alcuni settori della meccanica che stanno esportando molto, con produzione su doppi turni, specie in Paesi dell’emisfero meridionale dove si sta facendo quello che dovremmo fare noi, cioè piani di opere pubbliche e rilancio dell’edilizia. Tuttavia, ci sono altri settori, come la moda, per non citare solo il turismo o la ristorazione, che sono in ginocchio. Il Pil quest’anno chiuderà ben oltre il -10%. E nel primo trimestre del 2021 partiremo con le gambe deboli.

Tenuto conto che la Legge di bilancio ha iniziato il suo iter parlamentare che dovrà essere piuttosto celere, si può ancora varare un intervento per invertire la rotta?

Io resto dell’avviso che soltanto un grande piano rapidissimo, immediato, cospicuo, di opere pubbliche può tirarci fuori da questo pantano dal punto di vista macroeconomico. Le risorse del Recovery fund avranno tempi più lunghi del previsto, ma resta il fatto che altri Paesi hanno già predisposto i loro piano nazionali, mentre noi non abbiamo messo giù un numero. A prescindere dall’arrivo dei fondi europei, è in ogni caso indispensabile mettere qualcosa sul piatto della bilancia del Pil. Occorre un intervento straordinario sulla burocrazia che blocca tutto, per far partire almeno 10-15 opere nei primi sei mesi del 2021, altrimenti non faremo quei risultati economici che sono nelle previsioni. Invece restiamo fermi, aspettando non si sa bene cosa.

Serve una sorta di super-sblocca cantieri?

Sì, uno sblocca-cantieri che sia effettivo. Se però nel frattempo mettessimo già nero su bianco dei precisi investimenti che partiranno con il Recovery fund si avrebbe anche una prospettiva per il post-pandemia. Occorrono piani precisi, non meri enunciati, per la digitalizzazione, la sburocratizzazione, l’ammodernamento della Pa. Nel frattempo spero che ci sia un’attenta valutazione sulla riaperture a dicembre, perché i dati sul numero di morti negli ultimi 14 giorni pongono tutte le regioni del nord, salvo Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, sopra il Belgio, considerato un fallimento nella gestione del Covid. Purtroppo vedo un po’ di confusione non solo nella gestione del post-pandemia, ma anche della pandemia stessa. E questo non aiuta.

Si sarebbe potuto agire diversamente?

Credo che a differenza di questa primavera, il grosso dei contagi sia stato generato da focolai metropolitani, sia al nord che al centro-sud. Anziché chiudere tante attività indistintamente in tutte le province di una regione, forse si sarebbe dovuta concentrare l’attenzione solo sulle grandi città. Per fare un esempio, non credo abbia senso equiparare le Langhe a Torino. Aver chiuso proprio in autunno per le Langhe è stato però un durissimo colpo. Ora c’è da sperare che per le riaperture vengano prese le decisioni opportune per evitare nuovi impatti negativi anche per l’economia.

(Lorenzo Torrisi)