Dopo il voto delle regionali il dibattito politico nella maggioranza sembra essere tutto concentrato sulla prescrizione. I dati sull’economia, come quelli diffusi venerdì scorso dall’Istat, di fatto sono passati inosservati. O forse vengono appositamente ignorati. «Siamo un Paese che si è scordato quali sono le fondamenta di un vivere civile produttivo e sostenibile. Un Paese dove, per non parlare di economia, si parla soltanto di prescrizione», ci dice infatti Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Quello della prescrizione non è un tema importante?
La prescrizione è importante in termini giuridici perché riflette un’esigenza di certezza e chi parla di una sua abolizione dimentica che così verrebbe meno tale certezza. Questo appare però coerente con quanto fatto da una serie di Governi, compreso l’attuale, che hanno deciso, anche nell’economia, di abolire il concetto di certezza che va dato agli imprenditori. Non a caso non si investe più. I numeri sono veramente drammatici.
Cosa dicono i numeri?
Confrontando i dati del 2019 con quelli del 2007, anno precedente lo scoppio della crisi, l’Italia è l’unico Paese che non ha recuperato il livello di ricchezza prodotta espresso dal Pil: siamo sotto del 4,1%. La Germania è sopra del 15,5%, la Francia dell’11,3%, la Spagna del 7,4%. Guardando le componenti, siamo stati in parte “salvati” dall’export, i consumi sono stati stagnanti (-1,7%), ma per spiegare quel -4,1% dobbiamo guardare la componente che dipende dalla certezza degli imprenditori: gli investimenti, scesi del 18,1%, all’interno dei quali macchinari, automezzi, ricerca e sviluppo hanno minimamente tenuto con un +0,5%, mentre le costruzioni sono crollate del 33,3%. In questo Paese abbiamo smesso di costruire nel senso letterale del termine, specialmente perché gli investimenti pubblici sono di fatto vietati.
Vietati perché dobbiamo far quadrare i conti?
Assolutamente sì, sono vietati nel senso che sono l’unica fonte di potenziale crescita, ma non ci viene autorizzata se non compatibilmente coi vincoli di bilancio. Ed è qui che emerge anche l’insipienza della nostra classe politica. Bisognerebbe introdurre una golden rule europea per portare il deficit al 3% del Pil e usarlo per investimenti pubblici. Ciò gioverebbe alla crescita, all’occupazione e al calo del debito/Pil. Altre risorse si potrebbero ricavare con una seria spending review.
Senza golden rule e spending review diventa però impossibile trovare risorse per aumentare gli investimenti pubblici…
In realtà, come ormai è noto, le risorse si erano trovate e si sarebbero potute usare per rilanciare con le infrastrutture pubbliche l’ottimismo e anche gli investimenti privati, ma sono state spese per Reddito di cittadinanza e Quota 100, con risultati disastrosi: nel 2019 siamo ultimi in Europa, ripeto ultimi su 28, come tasso di crescita. Sarebbe opportuno ricordare che l’allora capo politico del Movimento che ha approvato quelle due misure diceva che la stima governativa di una crescita per lo scorso anno dell’1,6% era pessimistica.
Il 2019 per l’Italia si è chiuso con una crescita del Pil dello 0,2%. La situazione migliorerà quest’anno?
No, perché saremo di nuovo ultimi in Europa e l’Istat settimana scorsa ci ha detto che partiamo già con un -0,2% acquisito. Questo alla faccia dello 0,6%, falso e di propaganda, stimato dal Governo attuale. Avevo già detto a suo tempo che la manovra approvata era restrittiva, non espansiva come è stato ripetuto dai sostenitori dell’esecutivo giallo-rosso. Ecco perché parlano della prescrizione: perché vogliono cancellare il dato che c’è un altro tipo di certezza che è sparita, che è quella di avere un futuro davanti a sé.
Eppure proprio questo Governo aveva parlato di investimenti pubblici al centro della manovra.
La verità è che nel 2020 sono stati ridotti di 862 milioni. È stato detto che però nel 2022 ne faranno per 2,8 miliardi, come se fosse una grande cifra. A parte il fatto che se ci sarà ancora questo Governo l’anno prossimo dirà che non c’è spazio per tale somma e continuerà a tagliare. La politica dovrebbe capire che le bugie hanno le gambe corte e che i cittadini non premiano i partiti che mentono o che hanno modelli economici sbagliati. I numeri che le ho detto condannano sia i giallo-verdi che i giallo-rossi, sia le politiche europee che quelle italiane: alla fine non possono che trarne giovamento i sovranisti.
Renzi ha da poco rilanciato il suo “piano shock” per l’economia basato proprio sugli investimenti pubblici. Cosa ne pensa?
L’ex Premier sa bene che quei 120 miliardi di investimenti di cui parla sono incompatibili con le regole attuali di bilancio europee. Siamo di fronte quindi a un’altra menzogna della politica, che con tutta probabilità non verrà premiata dall’elettorato. Il modello su cui Italia Viva basa la sua azione ha già mostrato in passato di non funzionare.
Non trova che se i dati del primo trimestre del 2020 dovessero essere negativi sarà facile per il Governo giustificarli con un contesto internazionale, causa coronavirus, avverso e difficile?
Ci sarebbe però il problema di un differenziale di crescita con gli altri paesi europei che resterebbe immutato. Anche gli altri Paesi dovrebbero fare i conti con il contesto internazionale, ma continuerebbero a fare meglio di noi. Questo perché hanno o hanno avuto lo spazio per fare quegli investimenti pubblici utili a creare un contesto positivo anche per il settore privato.
Il taglio del cuneo fiscale varato prima delle regionali non sarà utile per l’economia?
In un clima di pessimismo il taglio del cuneo fiscale non serve né alle imprese, né ai lavoratori, perché quest’ultimi risparmiano la somma avuta in più in busta paga e gli imprenditori, sgravati in parte dei loro costi, non investono visto il periodo negativo.
Dopo le regionali il governo giallo-rosso sembra essere più rosso, visto il risultato deludente dei 5 Stelle. Questo può aiutare ad affrontare i problemi economici del Paese?
Non aiuta perché è un rosso che non scalda l’economia visto che è totalmente funzionale alle politiche europee. Siamo vergognosamente timidi con l’Europa. Non è un caso allora che i partiti che dicono no all’Europa arrivino al 44% dei voti. Se i sovranisti si affermassero alle elezioni sarebbe disastroso, bisognerebbe trovare una rappresentanza per quanti dicono sì all’Europa, ma con crescita. Questo implica un cambio completo di paradigma della politica fiscale, assolutamente coerente con la permanenza nell’euro che è fondamentale. Il Pd avrebbe tutto il potenziale, conoscendo i fondamentali dell’economia, al contrario dei 5 Stelle, ma non è in grado di compiere questa svolta.
(Lorenzo Torrisi)