L’autunno si avvicina e la situazione dell’economia mondiale resta ancora incerta. Si parla di una ripresa della Cina, ma i dati di Pechino vengono sempre guardati con una certa diffidenza. Gli Stati Uniti si preparano alle presidenziali con un debito che potrebbe raggiungere e superare il Pil, mentre la Federal Reserve ha fatto capire di voler continuare a garantire una politica monetaria espansiva anche nel caso si verificassero spinte inflazionistiche. L’Europa, infine, procede ancora divisa, con politiche differenziate da Paese a Paese, in attesa che l’anno prossimo arrivino le risorse del Recovery fund. «Se pochi mesi fa si pensava che i Paesi più dinamici sarebbero tornati quest’autunno ai livelli di Pil precedenti la pandemia, adesso questo traguardo appare spostato in avanti di un anno», ci dice Mario Deaglio, Professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Professore, l’Europa rischia di restare indietro, in attesa delle risorse del Recovery fund?
Secondo me, tutte le grandi aree sono piuttosto indietro. Gli Stati Uniti hanno avuto una caduta del Pil maggiore rispetto all’Europa. La Fed sembra aver detto che continuerà a battere moneta a lungo, ma mentre da noi si richiede che la nuova moneta confluisca in canali privilegiati, in America la maggior parte va in Borsa e in particolare su pochi titoli, i famosi Faang. Non abbiamo quindi evidenza che negli Stati Uniti si stia investendo molto. Più che altro abbiamo evidenza che si comprano in maniera mai vista prima i titoli di cinque grandi società. Da questo a recuperare la crescita ce ne corre. A differenza del denaro a pioggia negli Usa, gli investimenti mirati dell’Europa richiedono più tempo. E non vengono favoriti da un ambiente in cui, al di là della Merkel, nessun governante sta attraversando un buon momento politico.
E della Cina, dove la pandemia ha avuto inizio, cosa si può dire?
Resta un grande interrogativo, perché i dati cinesi vengono sempre guardati con molto sospetto. Difficile dire a che punto sia il gigante asiatico, il cui vero problema è rappresentato dai rapporti commerciali con gli Stati Uniti. Nonostante tutte le schermaglie sui dazi, l’80% dei flussi prosegue come prima, ma la situazione potrebbe anche cambiare.
Se vincesse Biden cambierebbe l’atteggiamento degli Usa verso la Cina e l’Europa, Germania in particolare?
Sarebbe più educato, sarebbe più rispettoso delle forme, ma la sostanza di fondo non muterebbe, perché gli Stati Uniti stanno perdendo la leadership globale, specie in campo tecnologico, e quindi si trovano in antagonismo con il resto del mondo. Questo antagonismo può portare a discussioni civili od originare guerre commerciali. Trump si è contraddistinto in questi anni per annunci con “effetto sorpresa” che credo non ci sarebbero con Biden alla Casa Bianca. Va detto in ogni caso che l’attuale Presidente non ha iniziato guerre vere, anzi ha cercato di portare via le truppe dall’Afghanistan e dal Medio Oriente, mentre i democratici in passato si sono contraddistinti per aver intrapreso azioni militari all’estero.
Il recedente rafforzamento dell’euro sul dollaro può creare qualche problema alle nostre esportazioni?
Un pochino sì, ma l’impatto sarà limitato perché molti Paesi stanno cominciando a usare l’euro come moneta di riferimento, a cominciare dalla Russia, che fattura il petrolio con la nostra valuta. Quel mercato, quindi, non soffre tanto di rischi di cambio.
Il Governo lavora già alla Legge di bilancio, che sarà contraddistinta da manovre sul lato fiscale. Non dovrebbe essere incentrata sugli investimenti così da favorire la ripresa senza aspettare le risorse del Recovery fund?
Ci sono purtroppo meccanismi burocratici così pesanti che rendono difficile l’avvio di opere infrastrutturali anche se finanziate. Bisognerebbe cancellare tutta la legislazione sui lavori pubblici e riscriverne una nuova. Questo non è facile e richiede tempo. Così com’è, il sistema è bloccato, siamo in una situazione in cui un funzionario che domani può essere messo sotto accusa non firma le autorizzazioni necessarie. Mi aspetto comunque che molte delle opere ormai vicine alla partenza vengano sbloccate.
Il problema che ha messo in luce non rischia di essere ancora più serio quando arriveranno le risorse del Recovery fund? Avremo fondi a disposizione e non sapremo spendere realmente?
In parte sì. Ci sono però dei settori in cui gli investimenti non hanno molti di questi vincoli, per esempio quelli relativi alla banda larga o alla sanità. E sarebbero entrambi importanti.
Nel terzo trimestre è lecito attendersi un rimbalzo del Pil. Quando però si potrà parlare di vera ripartenza e non di rimbalzo tecnico?
Il rimbalzo tecnico è caratterizzato da un recupero delle stesse spese di prima dopo un periodo che potrebbe essere considerato una sorta di lunga vacanza dell’economia. La ripresa vera e propria si ha invece quando cambia la composizione della spesa. I dati che abbiamo non consentono di ancora di stabilire se avremo l’uno o l’altra. Ce ne sono però alcuni da guardare con interesse.
Quali?
Per esempio, il mercato dell’auto ha visto un rimbalzo tecnico, mentre gli altri veicoli, come le biciclette a pedalata assistita o i monopattini elettrici hanno recuperato e superato i livelli dell’anno scorso. Chiaramente si tratta di piccoli settori rispetto a tutta l’economia. Sono piccoli segnali, come fili d’erba che vengono fuori dalla neve in primavera in montagna. Può andare tutto male, può esserci un’altra nevicata, ma per il momento ci sono questi segni di non rimbalzo, ma di ripresa vera. Il settore che soffrirà maggiormente, a mio modo di vedere, è invece quello della distribuzione. Non parlo dei piccoli negozi o dei supermercati che si stanno organizzando per seguire il “modello Amazon”, con propri spazi di e-commerce o consegne a domicilio, ma dei centri commerciali, presso i quali sarà sempre meno necessario recarsi per fare acquisti.
(Lorenzo Torrisi)