Dopo le previsioni di Ocse e Istat sull’economia italiana, ieri è arrivato il dato definitivo sul Pil della Germania nel primo trimestre dell’anno, che ha fatto registrare una crescita congiunturale dello 0,4% e tendenziale dello 0,6%. «Questi dati ci mostrano che la situazione tedesca, che veniva descritta come apocalittica, in grado di mettere in ginocchio l’economia europea, nell’arco di un trimestre si è abbastanza raddrizzata. A parte il settore automotive, gli altri va avanti e nel sistema c’è fiducia», ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



C’è qualcosa in questo dato sull’economia tedesca che la colpisce in maniera particolare?

Forse la cosa che colpisce di più è che si parlava di una Germania in grande crisi, ma i dati ci dicono che la sua economia ha sostanzialmente un grande problema sull’automotive, ma in tutti gli altri settori il valore aggiunto cresce. Guardando le componenti della domanda, tutte aumentano tendenzialmente più dell’1%. Si tratta di una situazione completamente diversa da quella dell’Italia. Il nostro vero tallone d’Achille è che si è spenta completamente la domanda di investimento. E quella di consumo sta crescendo a un tasso annuo intorno allo 0,5-0,6%: troppo poco se pensiamo ai tassi di crescita sperimentati nel 2015-2016. Ci siamo esaltati perché siamo fuori dalla recessione tecnica, ma siamo in un pantano di stagnazione del sistema, perché si sono spenti i “motori” che avevano sostenuto il Pil negli anni scorsi.



All’inizio dell’anno, lei temeva che la nostra economia avrebbe potuto risentire negativamente del rallentamento di quella tedesca. Dunque i dati di ieri possono farci tirare un sospiro di sollievo?

Dato che noi principalmente abbiamo con la Germania rapporti nell’automotive, è chiaro che risentiremo del problema tedesco in quel settore. Per il resto, purtroppo, le famiglie tedesche consumano in proporzione sempre meno made in Italy. Quindi, anche se la Germania dovesse migliorare ulteriormente penso che ciò possa impattare in maniera molto limitata sul nostro futuro. Il nostro problema non sta nella domanda estera netta. Da tempo ci stiamo illudendo che sia il motore della crescita, ma non è così.



Cosa intende dire?

L’unico vantaggio che hanno i paesi in surplus commerciale, come la Germania e l’Italia, è che ogni anno vanno ad aumentare i loro crediti verso l’estero. L’Italia, se aumenterà il suo surplus, potrà vedere i suoi crediti privati verso l’estero sovrastare il debito pubblico finanziato dagli stranieri. Questo è l’unico vantaggio, perché in termini di contributo al Pil ormai la domanda estera netta non fa più la differenza: export e import crescono allo stesso modo. Il nostro vero problema resta la domanda interna. Certo, è stato varato il decreto crescita, ma quand’è che verrà approvato in maniera definitiva? E lo sblocca-cantieri? Ormai sono passati cinque mesi dall’inizio del 2019 e l’unica cosa che siamo riusciti a ottenere è evitare la recessione in quanto tale, ma ci ritroviamo in una specie di stagnazione.

All’orizzonte c’è la Legge di bilancio e in questi giorni si è parlato molto di politiche fiscali: Iva, flat tax, 80 euro…

Resta sul tappeto il problema dei conti pubblici, anche per via di un Pil che cresce meno delle previsioni del Governo. Senza dimenticare i 18 miliardi di privatizzazioni che andrebbero fatti entro la fine dell’anno. Mi lasci dire una cosa sugli 80 euro: se si volessero eliminare per evitare l’aumento dell’Iva sarebbe un harakiri pazzesco, perché gli 80 euro sono di fatto una riduzione di tasse strutturale, anche se mascherata sotto forma di spesa. Quindi se venissero tolti e non compensati con qualcosa di analogo, le lascio immaginare quale sarebbe l’impatto sui consumi, visto che si andrebbero a togliere a 11 milioni di italiani mediamente 820 euro a testa l’anno: tanto varrebbe allora aumentare l’Iva.

All’assemblea di Confindustria Boccia ha proposto a Governo e opposizioni un patto per arrivare sia a un risanamento dei conti pubblici che a un aumento della crescita. Pensa che questa richiesta verrà accolta?

Dovrebbe esserci sempre la massima attenzione del mondo politico per il sistema produttivo. Per me sarebbe già importante approvare il più in fretta possibile i decreti crescita e sblocca-cantieri. Le imprese, soprattutto le piccole e le medie, stanno ancora aspettando di capire se partirà o meno il super ammortamento. E questo frena i loro investimenti. Noi eravamo riusciti per la prima volta, nel triennio 2015-17, ad avere un tasso di crescita della domanda interna privata, escluse le costruzioni, a livelli della Germania. Ci siamo riusciti perché c’erano il piano Industria 4.0 con il super ammortamento, gli 80 euro, le decontribuzioni per le assunzioni. Ora invece il sistema è fermo.

Si può tornare alla situazione che avevamo qualche anno fa?

Per sostenere la crescita si sarebbe potuto immaginare un percorso a step: 2015-16 boost dei consumi con gli 80 euro; 2017-18 spinta degli investimenti privati in tecnologie e macchinari con il super ammortamento; adesso sarebbe stato il momento degli investimenti pubblici, ma lo sblocca-cantieri non parte. Occorre agire in fretta su questo. E poi bisognerebbe ottenere dall’Ue la possibilità scorporare dal deficit gli investimenti infrastrutturali pubblici. Se dobbiamo litigare con l’Europa facciamolo su questo, non su altre misure che farebbero vedere solo aumento della spesa pubblica: avremmo così un aumento del Pil e della competitività del sistema. Quella sorta di staffetta ideale tra componenti della domanda di cui ho parlato è stata interrotta, ma si può cercare di ripartire.

Professore, un’ultima domanda: la Coldiretti ha lanciato l’allarme circa la possibilità che Lactalis possa acquisire un’azienda, la Nuova Castelli, leader per l’export di Parmigiano Reggiano. Cosa ne pensa?

Non credo che l’export del Parmigiano Reggiano dipenda da una singola azienda, per quanto importante. D’altro canto abbiamo sempre l’impressione che i pilastri del made in Italy rischino di vacillare in conseguenza dell’acquisizione di aziende da parte di soggetti di altri paesi. A me non sembra che siano così drammatiche per il nostro export tutte le operazioni di questo segno degli ultimi anni. A suo tempo mi aveva colpito la vicenda Lactalis-Parmalat, più che altro perché tutto il sistema-Paese ha dormito rispetto a un’azienda di grandissime dimensioni, che era stata risanata e aveva parecchia cassa, che poi la società francese ha utilizzato per i suoi scopi. Questo non toglie che il Parmigiano Reggiano, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy, vada tutelato, combattendo contraffazioni e imitazioni. E ritengo occorrano anche azioni più incisive a livello europeo, dove siamo totalmente assenti da anni, nel difendere il made in Italy.

(Lorenzo Torrisi)