Ieri il Fondo monetario internazionale ha pubblicato l’aggiornamento sulle previsioni per l’economia globale. La pubblicazione è stata l’occasione per sottolineare il miglioramento delle previsioni del Pil dell’economia italiana. Effettivamente il Pil italiano nel 2020 non è più previsto in contrazione del 12,8% ma solo del 10,6%: la seconda peggior performance tra le economie avanzate prima solo di quella spagnola. Sommando le previsioni del 2021, dato che la Spagna è vista crescere del 7,2% contro il 5,2% italiano, si ottiene che l’Italia sarà appaiata alla Spagna all’ultimo posto della classifica dei Paesi avanzati.



Ci sono altri due dati da sottolineare. Il primo è quello sulla disoccupazione che in Italia salirà non solo nel 2020, dal 9,9% all’11%, ma anche nel 2021 (11,8%), a testimonianza che il mercato del lavoro sarà pesantemente colpito dalla crisi. Se si considera che intere categorie sono sostanzialmente al riparo dalla crisi si comprende non solo quanto profondi saranno i solchi scavati tra le fasce meno tutelate, ma anche quanto sia ampia l’asimmetria degli effetti della crisi tra le diverse categorie. Il secondo dato è che gli Stati Uniti faranno meglio dell’area euro e che a fine 2021 il tasso di disoccupazione nell’Unione europea sarà il peggiore tra le economie avanzate; Stati Uniti, Giappone e Regno Unito nel 2021 avranno un tasso di disoccupazione migliore di quello europeo.



La gestione e la risposta alla pandemia da Covid, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, ci consegnano uno scenario chiaro: l’Italia e la Spagna hanno la peggiore gestione e la peggiore risposta in Europa e, a sua volta, l’Unione europea subisce gli effetti più marcati tra le macro aree globali. I fondi dell’Unione europea, stiamo scoprendo in questi giorni, non arriveranno in tempo utile e l’unico attore che fa il possibile e l’impossibile in Europa è la Bce.

I problemi però sono più profondi: ancora oggi in Europa non è garantita la libertà di circolazione, uno dei pochi capisaldi, insieme a quella dei capitali, del progetto europeo. Quello a cui stiamo assistendo è la ripetizione di quanto successo nel 2008, reso evidente nel 2011 e nel 2012 con la crisi dei debiti sovrani. L’Unione europea esce dalle crisi peggio dei suoi concorrenti, più malconcia e più divisa perché anche dopo questa crisi, inevitabilmente vista la diversa capacità di stimolare l’economia e la rigidità del cambio, la performance delle economie europee si divarica.



Scegliere di non misurarsi con queste evidenze non è particolarmente lungimirante né per l’Italia, che deve constatare, senza alibi, i risultati della propria gestione e della propria strategia per la ripartenza, né per l’Unione europea che non può non vedere all’opera tutte le contraddizioni del progetto ancora irrisolte. Fare una difesa d’ufficio perché non ci sono alternative, per esempio all’Unione europea, non rende un buon servizio a nessuno a cominciare proprio da chi avrebbe bisogno di un cambiamento di fondo vero.