Nelle previsioni economiche invernali diffuse ieri dalla Commissione europea, il Pil dell’Italia per il 2022 è visto in ribasso al +4,1% dal +4,3% stimato tre mesi fa. “Le previsioni di breve termine sono oscurate dalla prolungata interruzione di forniture e dal brusco aumento dei prezzi dell’energia”, fa notare Bruxelles. E, in effetti, il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi mercoledì aveva già evidenziato che “il caro energia è la vera mina sulla strada della ripresa italiana”. «Di mine ce ne sono tante.
Posto che finora si è assistito più a un rimbalzo che a una vera ripartenza, non possiamo immaginare – ci dice Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino – che la ripresa sia come una macchina ben oliata che basta avviare perché marci senza problemi e a velocità sempre più elevata. In realtà, occorrono continue revisioni, altrimenti il rischio è che si fermi perché non in grado di tenere certe andature. C’è anche da dire che tante volte il vero ostacolo non è nella mina in sé, ma nel modo in cui viene affrontata».
Come bisognerebbe affrontare i rincari energetici? Quale intervento andrebbe messo in campo?
In questo frangente la generalità delle imprese sta affrontando un costo in più, ma c’è anche una piccola fascia di aziende, soprattutto quelle che producono energia, che sta invece guadagnando di più. La prima cosa da fare – e il Governo sembrerebbe intenzionato a muoversi in tale direzione – è prendere una parte di questi extraprofitti superiori alla media e destinarli a sconti in bolletta per chi paga di più. Credo andrebbe anche rivisto il meccanismo degli oneri di sistema che spesso finanzia progetti legati all’energia tradizionale e non green. Questi interventi sarebbero “a costo zero” per le casse dello Stato.
Ritiene necessario uno scostamento di bilancio per cercare di sterilizzare, com’è stato fatto in Francia, i rincari per le imprese?
È difficile rispondere perché non sappiamo quanto dureranno questi rincari e i prezzi attuali incidono solo per le quantità marginali, cioè solo se serve più energia di quella prevista nei contratti in vigore occorre comprarla sul mercato spot a un prezzo elevato, dunque è difficile calcolare quale sia il loro peso effettivo sulle bollette di tutte le imprese. Inoltre, stiamo andando incontro alla primavera e la domanda legata al riscaldamento delle abitazioni andrà scemando. Pertanto è arduo fare i conti sul futuro, meglio concentrarsi sull’emergenza del presente.
Prima ha detto che ci sono diverse mine sulla strada della ripresa. Quale pensa sia il prossimo ostacolo che bisognerà affrontare?
Credo che la difficoltà maggiore sia legata al fatto che il principale motore dell’economia resta la domanda di beni di consumo, mentre affinché ci sia una ripresa sana dovrebbe esserci una quota maggiore di domanda di beni di investimento. Il punto è che le imprese che si lamentano tanto non è che abbiano dei grandi piani di investimento, specie nell’ambito della digitalizzazione. Non vedo questa tendenza se non i pochi casi di aziende giovani, soprattutto nell’informatica. Spetta agli imprenditori muoversi su questo fronte, lo Stato ha già varato degli incentivi per favorire questi investimenti, il contributo che può dare ora è quello di diffondere un clima di fiducia, che di certo aiuta a investire.
Per quest’anno c’è anche una certa aspettativa sulla “messa a terra” del Pnrr. Con le loro recenti dichiarazioni, i ministri Giovannini e Cingolani sembrano però aver fatto capire che questo Piano non può essere totalmente risolutivo. È così?
Assolutamente sì, sostengo da tempo che il Pnrr è necessario ma non sufficiente. È necessario perché per decenni abbiamo trascurato non solo gli investimenti nuovi, ma anche gli ammortamenti di quelli vecchi. Abbiamo quindi tetti delle scuole che crollano o autostrade disastrate che potranno essere messi a posto. Di fatto il Pnrr ci aiuterà a tenere a galla la nave, ma occorre poi decidere che rotta seguire. E questo dal Pnrr non viene fuori.
In questo senso forse la Germania è quella che ha dato indicazioni più chiare: punta sulla transizione del settore automotive.
Sì, anche se va detto che la transizione verso l’auto elettrica non sarà comunque semplice, ci sono per esempio problemi tecnici di non poco conto relativi ai tempi e ai luoghi di ricarica e alla produzione dell’energia necessaria. Sicuramente da noi il settore non ha dato nessuna indicazione, anzi di fatto le grandi decisioni strategiche non si prendono in Italia ma in Francia.
È importante che comunque ci sia stata l’apertura di un tavolo dedicato all’automotive a palazzo Chigi.
Sì, perché l’impatto della transizione sarà importante. Bisogna cercare di gestire questa transizione e non subirla.
Intanto dalla Germania le dichiarazioni del ministro delle Finanze Christian Lindner e del Presidente della Bundesbank Joachim Nagel fanno pensare a un ritorno dei falchi…
Direi un ritorno dei falchetti. Nel senso che sì, la tradizione tedesca è quella espressa nelle loro dichiarazioni, anche per motivi comprensibili: gli episodi legati al primo dopoguerra e l’iper inflazione che hanno segnato anche la psicologia di quel Paese. Sicuramente passerà la loro linea per cui non si può stampare moneta o distribuire risorse europee a macchinetta, ma da questo a dire che non si daranno più risorse ce ne passa.
Perché?
Perché andando a vedere i legami produttivi tra l’industria meccanica della Germania e quella del nord Italia si capisce che se va in crisi quest’ultima si ferma anche la prima. Pare che già ai tempi della Merkel fossero forti le pressioni degli industriali tedeschi per non mettere troppo in difficoltà il nostro Paese proprio per questo motivo. È facile quindi immaginare che si arriverà a una sorta di accordo, per cui le risorse arriveranno, ma in cambio di riforme che in alcuni casi valgono più degli investimenti: quella della Pa, quella della giustizia e quella fiscale.
(Lorenzo Torrisi)
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