Durante il vertice di Parigi sul finanziamento delle economie africane della scorsa settimana, cui ha partecipato anche Mario Draghi, Emmanuel Macron ha proposto di destinare, attraverso l’emissione di Diritti speciali di prelievo (Dsp) del Fondo monetario internazionale e un loro trasferimento, dato che vengono assegnati pro quota, dai Paesi occidentali a quelli africani, circa 100 miliardi di dollari.



Una proposta che fa tornare in mente quella avanzata lo scorso anno, all’apice dell’emergenza pandemica, dall’ex segretario al Tesoro britannico Jim O’Neill, attuale Presidente del prestigioso think tank Chatham House, e da Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi, il quale l’aveva illustrata anche sulle nostre pagine.



«Avevamo sollecitato – ricorda Lombardi – un’emissione di Dsp per un ammontare straordinariamente elevato, un trilione e 400 milioni di dollari, la stessa cifra che era stata indicata in un editoriale del Financial Times. In Italia questa proposta non ha ricevuto eco particolare, a parte una significativa eccezione, per un motivo sostanzialmente politico».

Quale?

In quel momento un’ampia parte del sistema politico e delle istituzioni governative stava cercando di portare l’Italia nelle braccia di un programma Mes, salvo affermare, successivamente, l’esatto contrario. La possibilità, quindi, di poter contare su una liquidità priva di condizionalità e a costo zero, proveniente dall’istituzione finanziaria multilaterale per l’eccellenza, veniva vista come antagonista rispetto a questa volontà e fonte di potenziale imbarazzo politico per quella parte di sistema. I Dsp non sono però antagonistici rispetto a nulla, possono essere semmai complementari ad altre forme di finanziamento. Giorgia Meloni ne richiese pubblicamente un approfondimento dalle colonne di un suo editoriale sul Corriere della Sera.



Ora però si sta parlando dell’emissione di Dsp per 100 miliardi di dollari da destinare ai Paesi africani…

Dalle informazioni che circolano posso dirle che in realtà la direttrice generale del Fmi, Kristalina Georgieva, presenterà probabilmente già il prossimo mese una proposta per l’emissione di Dsp per un importo corrispondente a 650 miliardi di dollari (circa 530 miliardi di euro ai corsi attuali). Peraltro, la commissione ministeriale del Fmi ha già dato un endorsement importante. Si tratta dell’emissione più generosa di sempre, considerando che quella precedente, avvenuta nel 2009 all’apice della grande crisi finanziaria internazionale, era stata pari a 250 miliardi di dollari (oltre 200 miliardi di euro). Dunque, rispetto alla proposta francese la cifra complessiva sarà più di sei volte tanto. Certamente i Paesi africani si trovano in difficoltà più di altri nel fronteggiare l’emergenza pandemica, ma credo ci sia tutto lo spazio perché i Dsp possano essere utilizzati anche dai Paesi sviluppati, Italia compresa.

Perché?

Perché un Paese come l’Italia, parte di un’unione monetaria con alcune limitazioni ben note, deve poter contare su riserve proprie come i Dsp, che, all’occorrenza, possono diventare fonti diversificate di finanziamento. Questo è un aspetto strategicamente rilevante. Peraltro, la liquidità internazionale creata in tal mondo non è limitata o a somma zero: sarebbe sbagliato, pertanto, creare antagonismi nell’allocazione dei Dsp. Farlo significa non aver compreso bene il meccanismo sottostante che li genera.

Ipotizzando un’emissione di Dsp pari a 650 miliardi di dollari, quale cifra spetterebbe all’Italia?

I Dsp vengono allocati sulla base della quota capitale di ciascun Paese. Per quanto riguarda l’Italia, essa è pari al 3,17%. Qualora venisse approvata la proposta di questa emissione, come ritengo estremamente probabile che accada, all’Italia spetterebbe, pertanto, un ammontare pari a circa 20 miliardi di dollari (poco più di 15 miliardi di euro, al cambio attuale).

In quanto tempo questi Dsp sarebbero a disposizione dell’Italia?

Presumo che già nei prossimi mesi ci potrà essere la ratifica necessaria all’emissione da parte dei Paesi membri in modo che essa possa avvenire in tempi brevi. La super maggioranza richiesta è pari all’85% dei voti. Solo gli Stati Uniti, con il loro 17%, detengono, di fatto, potere di veto che, in questo caso, tuttavia, non eserciteranno. Credo sia importante rivitalizzare il ruolo dei Dsp, perché l’articolo 8.7 dello Statuto del Fmi ne sottolinea il carattere di principale attività di riserva mondiale.

Non è così?

Dalla loro creazione i Dsp hanno ricoperto un ruolo del tutto marginale nel sistema monetario internazionale, pesando per circa il 3% delle attività internazionali non auree. I Dsp sono un’attività di riserva creata nel 1969 che, a oggi, contano emissioni in circolo per 293 miliardi di dollari (quasi 240 miliardi di euro) in totale. Rappresentano una quantità marginale e modesta, circa il 3%, dell’intero stock di riserve internazionali disponibili. Sulla base di questi numeri si può ben dire che la lettera e lo spirito dell’articolo 8.7 non sono stati finora rispettati.

Dunque, l’Italia potrebbe avere a disposizione Dsp per circa 20 miliardi di dollari. Cosa potrebbe farne?

Credo che questa decisione non possa rimanere confinata al solo ambito tecnocratico, ma che occorra un dibattito e una valutazione complessiva. Ritengo che la politica si debba interrogare su come utilizzare proattivamente queste risorse di cui l’Italia beneficerà nei prossimi mesi, stante la gravità della crisi economica e sociale.

Risorse che sarebbero disponibili già in autunno…

È chiaro che data l’emergenza in atto ancora persistente i tempi potrebbero essere accorciati rispetto ad analoghi casi in passato. Mi spingo a dire che se la proposta verrà presentata a giugno, l’ambizione della Direttrice generale del Fmi sia quella di finalizzarla entro ottobre.

Un periodo cruciale perché si mette a punto la Legge di bilancio. Meglio usare queste risorse per ridurre il debito o per misure che possano stimolare la crescita del Pil?

Il modo più efficace per ridurre il debito è stimolare la crescita. Quando il rapporto debito/Pil è a livelli significativamente elevati come nel nostro caso, l’unica variabile su cui ha senso intervenire è il denominatore.

Con quale tipo di misure: investimenti, riduzione delle tasse, sostegni e liquidità per le imprese?

Credo che trattandosi di un potenziale, ulteriore finanziamento, esso debba essere principalmente destinato a investimenti e magari in parte a ristorare la liquidità delle imprese.

L’utilizzo di queste risorse sarebbe sottoposto a condizionalità?

I Dsp non sono da confondersi con le attività di assistenza finanziaria del Fondo monetario internazionale, caratterizzate da prestiti con presidi di condizionalità più o meno intensi. Non c’è un costo opportunità per i Dsp dal momento che i tassi di mercato monetario, a cui i Dsp sono indicizzati, sono pari a zero.

E per quel che riguarda la percezione dei mercati?

Credo che i mercati conoscano bene l’economia internazionale e come funziona il Fmi: una cosa sono i suoi prestiti, i suoi programmi di intervento, che sono soggetti a un livello variabile più o meno intenso di condizionalità, un’altra cosa, invece, completamente diversa, sono i Dsp.

(Lorenzo Torrisi)

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