L’economia tedesca non sta attraversando un buon momento e ieri è stato diffuso l’indice PMI di luglio, che per il settore manifatturiero si è attestato a 43,1, in discesa dal 45 di giugno e sotto al 45,1 atteso dagli analisti. In discesa, dal 55,8 di giugno, anche l’indice PMI relativo al settore dei servizi (55,4). «Anche il nostro PMI manifatturiero è al di sotto di 50, soglia che separa la contrazione dall’espansione, da tempo. Qualitativamente le rilevazioni su Italia e Germania sono simili, ma quantitativamente un po’ diverse, perché da loro va peggio il settore manifatturiero e vanno meglio i servizi rispetto a noi», ci dice Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.



L’indice PMI manifatturiero tedesco è però sceso ai minimi da 7 anni…

In realtà, i metodi usati per calcolare questo indice fanno sì che sia difficile confrontare il PMI di oggi con quello di anni fa. Non dimentichiamo che ci si basa su interviste. Il dato indubbiamente continua a essere in calo ed è consistentemente al di sotto di 50 e non può non preoccupare.



Considerando anche il dato di inizio mese sul forte calo degli ordinativi dell’industria tedesca a maggio, quanto dobbiamo preoccuparci del rallentamento di quella che è considerata la locomotiva dell’economia europea?

Bisogna cominciare a chiedersi cosa c’è dietro a questi dati così negativi. Un po’ sono dovuti al fatto che il ciclo dell’automobile, molto positivo per tanti anni, è forse arrivato al suo naturale esaurimento, senza dimenticare il ritardo dell’automotive tedesco sulle ultime regole riguardanti le emissioni. La Germania soffre poi del rallentamento della Cina, tra i paesi europei è quello più esposto agli effetti della guerra commerciale. Sottolineerei comunque un aspetto della situazione che potrebbe non essere negativo.



A cosa si riferisce?

Se il motore dell’Europa va piano, ciò potrebbe portare il Governo tedesco ad ammorbidire le proprie posizioni in tema di rigore di bilancio. Basterebbe che, anziché avere l’equilibrio o l’avanzo di bilancio, facessero un 1% di deficit e staremmo tutti meglio, prima di tutto loro. La Bundesbank potrebbe invece smettere di avere una posizione contrarie alle politiche che ha seguito la Bce di Draghi in questi anni e che continuerà a seguire la Lagarde di aiuto fondamentalmente al credito, alle banche, per poter continuare a far andare l’economia. Quindi dal punto di vista delle policy che potrebbero far bene all’Europa, che la Germania vada peggio degli altri è un buon segno.

Vede possibili contraccolpi per l’economia italiana dalla situazione di quella tedesca?

In effetti una Germania che azzerasse la crescita o entrasse in recessione per noi sarebbe una cattiva notizia. Però c’è da dire che per il momento la Francia e la Spagna hanno continuato a crescere e la somma delle nostre esportazioni in questi due paesi supera quelle che registriamo in Germania. Per ora c’è stata una sorta di compensazione. Poi ci sono anche gli Stati Uniti che vanno piuttosto bene e c’è una buona quota di export dell’Italia diretto negli Usa.

Per tanto tempo lo spread è stato considerato l’indicatore cui guardare per essere più o meno allarmati. Oggi che è tornato sotto i 200 punti base ci può lasciare effettivamente tranquilli?

Un spread a questi livelli ci dà un po’ più di fiato per impostare una manovra diversa rispetto a quella dell’anno scorso, cioè una Legge di bilancio che voleva sfidare l’Europa e i mercati con un deficit più alto di quello ritenuto necessario. Lo spread basso è un’occasione da cogliere non per fare più spesa, ma per cercare di disegnare una Legge di bilancio che ci eviti il ciclo della manovra insensata di settembre e della correzione successiva.

Ci sono condizioni per questo vista la stasi politica delle ultime settimane?

La politica ha le sue regole che vanno rispettate. Confido che non vogliano farci rivivere l’autunno del 2018. Al momento l’intenzione è quella di abbassare le tasse e aumentare le spese e quindi è chiaro che ci sarà più deficit. A meno che non decidano di mettere mano in modo serio a detrazioni e deduzioni, ma questo vorrebbe dire poi dover spiegare agli italiani che quel che gli viene dato con un mano, gli viene poi tolto con l’altra. Per poter fare un taglio delle tasse che duri occorre ridurre la spesa.

Come sarà la manovra dipenderà anche da quello che sarà il rapporto con l’Ue. Lei cosa si aspetta dalla nuova Commissione?

Bisogna vedere a chi verranno dati i principali portafogli. Quindi è un po’ presto per fare una valutazione precisa. Ritengo comunque che non sia automatico che Ursula von der Leyen “esporti” il rigore che aveva da ministra della Germania al suo nuovo ruolo di Presidente della Commissione europea, perché deve rappresentare degli interessi più ampi. Mi aspetto che presti più attenzione alle regole rispetto al passato, ma non potrà poi che essere pragmatica, perché un po’ di pragmatismo aiuta sempre.

(Lorenzo Torrisi)