“Arricchitevi” disse, nel 1979, Deng Xiaoping ai cinesi. Così, sotto l’egida del Potere comunista, ebbe inizio l’imponente “accumulazione originaria” cinese. Ci hanno messo un po’ poi, il 23 novembre 2020, il Governo cinese dichiara di aver eradicato la povertà assoluta nel Paese. Il presidente Xi Jinping diventa il primo leader cinese a essersi impegnato non solo a ridurre l’incidenza della povertà, ma a eliminarla totalmente: una migliore distribuzione del reddito sta tra gli obiettivi per il prossimo futuro.



D’accordo, se niente più poveri assoluti manco tutti ricchi. Sì, è vero, i benestanti ci sono eccome; molti di più quelli che, se non più miseri, sono ancora penanti. Il Presidente a vita lo sa. Sa pure che il peso dei consumi privati sul Pil della Cina è inferiore alla media mondiale, il 40% rispetto al 58%, con punte del 68% negli Stati Uniti.



Detto i dati, fatti i confronti, Xi suona la carica: i mercati vengono colpiti da una serie di repressioni in materia di tutoraggio privato, sicurezza dei dati e non finisce qui. Pechino tenta di limitare gli eccessi dei ricchi e aumentare la ricchezza della classe media, che altrimenti potrebbe frenare le prestazioni delle più grandi e note aziende private del Paese.

Già, chi più della classe media si mostra propensa ad acquistare merci di bisogno, pure quelle di passione, altre di emozione, finanche le esperienze e con tal trastulli poter fare la crescita. Cavolo, vuoi vedere che chi comanda ha compreso come quegli “eccessi” sian soldi sottratti alla spesa; vuoi vedere che si comincia a mettere nel conto come sia proprio la spesa, non l’impresa, né il lavoro, a generare la ricchezza; vuoi vedere che se parte di quella ricchezza la intasca pure chi l’ha fatta può poter rifare prima la spesa poi la crescita?



A tal supporre Soros, caposcuola di quelli del Capitale d’occidente, si gratta la testa e dice d’altro: la stretta sui grandi gruppi economici privati, dal blocco dell’Ipo di Ant nel novembre 2020, alle misure disciplinari contro Didi in seguito al collocamento a Wall Street lo scorso giugno, dimostrerebbe come Xi abbia “bisogno di mettere in ginocchio qualsiasi entità abbastanza ricca da esercitare un potere indipendente”. Le reazioni di quelli invece che stanno con il lavoro, “soprattutto e a tutti”, non sono pervenute; forse son fermi al pensarle.

Dunque, se l’Occidente si mostra arenato tra un tacer taciuto e un parlar d’altro, a Oriente sembra volersi consumare lo scisma nel capitalismo: da quello delle imprese a quello dei consumatori quando si intende dar corso a una “prosperità comune”.

D’accordo provare a cambiare la ragione sociale del capitalismo, ma… il solo redistribuire per via fiscale o confidare nel “buonismo” imposto alle imprese [1] può fare il nuovo?

Se, come intende, il leader cinese, si vuol tentare la costruzione di “un sistema completo di consumo domestico”, s’ha da passare attraverso il riconoscimento del lavoro di consumazione che faccia saltare il vecchio modo di trasferire la ricchezza generata dalla crescita; quest’esercizio, agito, si auto-riproduce e auto-remunera creando e remunerando pure il lavoro nella produzione e quello del capitale.

Riconoscimento pure che, con incentivi fiscali, premi il business di quelle imprese che rifocillano il potere d’acquisto con la spesa fatta per le loro merci. Per le stesse imprese si renderebbe spendibile migliorare l’efficienza ottenendo un vantaggio competitivo.

Questo possibile si intravvede quando il vicepremier cinese Liu He dice che la Cina sosterrà “incrollabilmente” il sano sviluppo dell’economia privata.

Manca solo la chiosa. Dentro un capitalismo, dove varrà più la spesa che l’impresa, un sistema completo di consumo domestico potrà aver bisogno di una nuova moneta di scambio: il “Potere d’Acquisto”!

[1] Alibaba, come avevano fatto in precedenza Tencent e Geely Automobiles, investirà 100 miliardi di yuan (15,5 miliardi di dollari) entro il 2025, a sostegno della “prosperità comune”, allineandosi dunque all’iniziativa lanciata dal presidente cinese Xi Jinping per combattere le diseguaglianze presenti in Cina.

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