Toh, toccava ancora uscire dalla crisi. Ci siamo ritrovati ficcati nella pandemia: per poter uscire dalle nebbie comincia a farsi strada la necessità di ripristinare la capacità di acquisto dei consumatori. Viene in mente che, per farlo, occorra redistribuire in altro modo la ricchezza che il meccanismo economico genera.
Al solo bisbigliarne la possibilità, politici di sinistra divagano; quelli di destra nicchiano, quelli di centro… boh! Già, la politica, tutta fuoco e fiamme, parla d’altro mentre la crisi rigurgita crisi. Bene, diamo un’occhiata: nel sistema economico i redditi vengono distribuiti in funzione del contributo fornito dagli agenti economici alla produzione del valore. Funziona pressappoco così: i produttori producono e incassano profitto, ne trasferiscono una parte a quelli che lavorano alla produzione come reddito; i consumatori quel reddito lo spendono.
Quando sul mercato stazionano più merci di quelle che il reddito disponibile dei consumatori consente di smaltire, quell’eccesso svaluta il valore di quella produzione, riduce il contributo dei produttori, brucia ricchezza. Così si è entrati dove siamo adesso. Se invece i consumatori dispongono di reddito adeguato a smaltire, viene restituito valore a quelle merci; quelle merci, ancorché consumate, debbono essere ri-prodotte generando nuovo valore, nuovo lavoro e crescita economica. Così si dà una stoccata alla crisi.
Qui si mostra il pasticcio: nell’economia dei consumi questo straordinario contributo, fornito alla produzione del valore, non trova remunero. Et voilà l’opportunità: riallocare le risorse economiche generate dalla crescita per remunerare quest’esercizio del consumare, buono a guadagnare altra crescita. Una scommessa che la politica, quando smetterà di parlar d’altro, dovrà giocare tutto d’un fiato per andare oltre la crisi e, magari, ritrovare pure credito di ruolo.
Una dritta: nell’economia dei consumi con la spesa si genera lavoro e lo si remunera! D’accordo, pure quella pubblica; fa meno d’un quarto della crescita, come quella per gli investimenti delle imprese; il resto, e che resto, invece la fanno i consumatori. Dunque se tanto dà tanto, tocca alla politica farsi carico di defiscalizzare proprio quelle imprese che, nel farla, investono per attrezzare business che fanno utili se e quando i consumatori, che comprano le loro merci, rifocillano il potere d’acquisto. E per le imprese renitenti, dite? Beh… magari dovranno pagare dazio al fisco!