Una recente analisi operata dall’Eurostat sulle conseguenze occupazionali della prima ondata Covid nei Paesi aderenti all’Ue mette in evidenza che la riduzione degli occupati in Italia (- 2,96%) risulta essere sostanzialmente in linea con quella della media generale (-2,83%). Ma per l’Italia, unico Paese ad aver disposto per un intero anno il blocco amministrativo dei licenziamenti, il dato risulta sottostimato per la quota del potenziale numero degli esuberi, circa mezzo milione di occupati, mantenuto nelle aziende con l’utilizzo massiccio delle casse integrazioni. Mentre nella gran parte degli altri Paesi l’azione di contenimento è stata svolta principalmente dai settori dei servizi, come ad esempio le comunicazioni, la sanità, che hanno incrementato le attività durante la crisi economica.
Tutte le previsioni fornite da diversi istituti nazionali e internazionali traguardano il completo recupero delle perdite del Pil italiano al 2024. Questo significa che l’impatto occupazionale negativo, sommato a quello inevitabile delle riorganizzazioni aziendali, è destinato a crescere sensibilmente verso la soglia dei 2 milioni, in assenza di misure anti-cicliche e di comparti di attività che possono svolgere una funzione trainante per la nuova occupazione e ridurre l’impatto negativo.
Un’analisi svolta dall’ufficio studi di Banca Intesa, utilizzando i dati della Banca d’Italia, stima una crescita dal 11,8% al 20% della quota dei risparmi sul reddito, depositati nei conti correnti da parte del 55% dei titolari, tra il mese di febbraio dell’anno in corso. Per un volume complessivo di 126 miliardi di euro, superiore ai 122 della perdita stimata per il Pil italiano nel medesimo periodo, e quasi analoga al volume di risorse mobilitate per sostenere le imprese e i redditi delle persone, con un aumento del debito pubblico.
L’immagine che scaturisce da queste analisi è quella di un Paese sostanzialmente ripiegato sulla difesa dell’esistente, mentre sono in atto movimenti tellurici destinati a rivoluzionare le mappe dell’economia internazionale, e che esprime una domanda di sicurezza e di interventi pubblici sovradimensionata, almeno per una buona parte degli attori economici e della popolazione.
La nostra classe dirigente non ha ancora compreso le lezioni scaturite nel corso della crisi economica iniziata nel 2008, le ragioni del mancato recupero dei livelli di reddito raggiunti in precedenza, e della faticosa ricostruzione dei livelli di occupazione, completata nel corso del 2018, con il contributo di un milione di posti di lavoro a orario ridotto e di un indebolimento complessivo della qualità dei rapporti di lavoro.
L’unica vera novità è rappresentata dal cambiamento della natura delle politiche messe in campo dalle istituzioni europee per la gestione della crisi: la sospensione del Patto di stabilità e dei vincoli per gli aiuti di Stato, il potenziamento dei fondi promossi per sostenere la ripresa; affiancando le operazioni di sostegno finanziario operato dalla Bce con l’acquisto dei titoli pubblici e privati di debito, è stata sinora utilizzata come pretesto per legittimare l’ampliamento del debito pubblico per sostenere misure di tipo assistenziale e per l’esplicita intenzione di allargare gli ambiti di intervento dello Stato nell’economia e nelle gestioni aziendali.
La promessa di traghettare la società, italiana verso una economia green, digitale e inclusiva, viene tradotta nella realtà con la messa in calendario di una nuova ondata di prepensionamenti, di salvataggi di imprese più o meno decotte con il concorso di capitale dello Stato, nella miriade dei bonus e dei sostegni ai redditi destinati a tamponare le emergenze congiunturali. Il tutto spacciato per la finalità di rafforzare il tessuto produttivo e per sostenere le fasce più deboli della popolazione.
Allo stato attuale non è lecito comprendere quale possa essere il valore aggiunto manageriale apportato da un’amministrazione che arranca nel gestire l’attività ordinaria. E nemmeno quanto siano veramente efficaci le politiche rivolte a contrastare i rischi di impoverimento delle persone, falsate dalla rilevanza del lavoro sommerso, che in buona parte non coincide affatto con le condizioni di sfruttamento dei lavoratori coinvolti. Nella realtà il modello redistributivo adottato per tutelare le persone per i costi economici e sociali della crisi, come evidenziato anche da numerose ricerche, è funzionale a rafforzare per le componenti più solide e organizzate nella rappresentanza, a discapito delle persone in cerca di lavoro e di quelle sottoccupate.
Giova ricordare che solo pochi giorni fa, nella drammatica coincidenza con i provvedimenti amministrativi adottati per contrastare la seconda ondata dei contagi, è stato proclamato uno sciopero per rivendicare gli aumenti salariali per i pubblici dipendenti.
Contrastare queste derive non sarà affatto semplice, eppure dobbiamo farlo e anche in fretta. In particolare occorre intervenire su tre fronti. Il primo, fondamentale, è rappresentato dall’esigenza di recuperare un livello accettabile di cooperazione tra le istituzioni sul doppio asse del rapporto tra maggioranza e opposizione nel Parlamento e delle intese tra Stato e Regioni. Gli impegni che devono essere assunti dal Paese in ambito europeo per i prossimi 10 anni non possono essere oggetto di variabili dipendenti dalle scadenze e dai contenuti delle campagne elettorali.
Il secondo riguarda il controllo della coerenza tra gli obiettivi e le iniziative messe in campo per realizzarli, a partire da un’analisi corretta dei problemi e dalla verifica della congruità degli attori e dei mezzi incaricati a realizzarli. Su questo aspetto l’apparato politico e amministrativo ha ulteriormente evidenziato nei mesi recenti il grado di inadeguatezza nel gestire l’attuazione dei provvedimenti adottati a vario titolo nel corso dell’emergenza sanitaria. Il terzo fronte riguarda, a maggior ragione, l’abbandono della pretesa di attribuire allo Stato un ruolo salvifico per i destini della nostra economia, con l’ausilio di una pletora di consulenti e di task force utilizzate per supplire all’incapacità di offrire supporti adeguati alle imprese che investono, alle persone che desiderano lavorare e alle famiglie che si prendono cura dei minori e degli anziani. Il vero compito delle istituzioni pubbliche nei prossimi anni, oltre a quello di dotare il Paese di infrastrutture adeguate.
Queste evoluzioni difficilmente potranno avvenire nelle attuali condizioni politiche, ma tra gli esponenti più avveduti tra le forze politiche della maggioranza e dell’opposizione sta crescendo la consapevolezza di dover costruire le condizioni e le sedi istituzionali per affrontare questi problemi in vista delle intese con le istituzioni europee per l’utilizzo delle risorse del Recovery fund. Oggi più mai la credibilità della classe dirigente deve essere valutata sulla capacità di mettere al centro il bene comune.