Diceva John Kenneth Galbraith che “l’unica funzione delle previsioni economiche è quella di far apparire rispettabile l’astrologia”: eppure il de profundis che ieri l’Ocse ha scritto sull’economia italiana è del genere che non lascia spiragli all’ironia. Perché in valore assoluto le previsioni sbagliano spesso; ma in termini relativi assai meno.



E l’Ocse dice testualmente che la ripresa dalla pandemia sarà lenta e disuguale, e che in questa disuguaglianza l’Italia non sarà tra i vincitori, ma tra i vinti. Se da un lato la previsione su come si chiuderà l’anno che sta finendo coincide con quella del nostro governo, -9,1%, per il 2021 la ripartenza è stimata solo nel +4,3% contro il +6 pronosticato – ma meglio dire: vagheggiato – dal Conte & C. nella Nota di aggiornamento al documento economico finanziario. Colpa, certo, delle inevitabili chiusure autunnali. Ma – lasciano capire gli esperti dell’Ocse – anche della stasi del Paese sul fronte delle riforme.



Ad incupire il senso della giornata per la nostra Italietta ci si è messo anche il fuoco amico dell’Istat, che ha rivisto al ribasso le stime di crescita del terzo trimestre del 2020, riducendole ad un aumento del 15,9% del Pil contro il 16,1% valutato dal governo. Sembrano un nonnulla, quei due decimali, ma non lo sono. Sono, al contrario, quel balzo che, negli auspici del ministro Gualtieri, avrebbe dovuto metterci al riparo dalla necessità di peggiorare la stima sulla chiusura del 2020. E invece…

E non basta. Questa ridda di cifre arriva, sinistra, all’indomani del chiaro appello di Ursula von der Leyen – la presidente della Commissione europea – al governo italiano affinché si appresti a chiedere rapidamente e sensatamente e soprattutto accogliere e gestire efficientemente i fondi del Recovery Fund, ovvero del piano Next Generation Eu, che potrebbe davvero far rinascere non solo il nostro Paese ma tutti e 28 quelli a vario titolo aderenti all’Unione.



Ebbene, la gentilissima presidente, nel dire che “Milan l’è un gran Milan” e che insomma l’Italia ce la farà, non si è però lasciata sfuggire l’occasione di esortarci a fare le riforme, citando in particolare – guarda caso – quelle infattibili: la riforma della pubblica amministrazione e quella della giustizia, rea – quest’ultima, nella sua attuale, monumentale inefficienza – di tenere lontani gli investimenti internazionali dal nostro Paese per la mancanza di certezza del diritto.

E dietro quel sorriso tra l’affettuoso e il diplomatico si celava in realtà una sinistra pietra tombale. Chiunque conosca un briciolo il nostro Paese sa che riformare la giustizia e la burocrazia è più difficile che andare su Marte o scalare l’Everest con le infradito. Le due potentissime caste che presidiano questa doppia inefficienza – essendone, insieme, causa e beneficiario – preferirebbero piuttosto morire che mollare la loro privativa di irresponsabile privilegio.

I magistrati, al massimo grado. In beffa estrema alla volontà popolare sancita dal referendum dell’87, i giudici sono rimasti una casta irresponsabile. Non pagano mai pegno, difesi a volte dall’ordinamento e altre dall’omertà di colleganza. Divisi fra loro in fazioni politicizzate per meglio preparare i loro sporchi giochi di lobby, sono del tutto indifferenti – salvo le debite eccezioni, ovviamente – agli interessi dei cittadini per una giustizia giusta e veloce. E i burocrati? Sono gli ultimi potenti del Palazzo, visto che i suoi transeunti inquilini politici nulla sanno delle logiche della burocrazia e le subiscono senza nemmeno rendersene conto.

I capi di gabinetto e i direttori generali dei ministeri sono i garanti del peggior status quo. E dunque non cambieranno mai. Né mai alcun governo democraticamente eletto avrà il fegato di sfidare l’impopolarità connessa ad un attacco ad alzo zero – come quello che meriterebbero – contro i mandarini cinesi delle scartoffie.

E dunque quale scenario economico-politico si profila per l’Italia in Europa nel 2021? Quello di un grande paese con tanto debito pubblico e tanti risparmi privati, racchiusi ciascuno in un vaso non comunicante con l’altro; una miriade di piccole e medie imprese agguerritissime ma sprovviste di infrastrutture e talenti giovani; un Paese incapace di emendarsi e di chiedere all’Europa i soldi che ci spettano nelle modalità giuste per farceli dare. Un Paese che si è fregato da solo, con le sue mani.