I dati economici degli ultimi giorni sono impressionanti in positivo: appena liberati, pur ancora parzialmente, dai blocchi, gli italiani sono usciti “come razzi” all’aperto, hanno frequentato in massa servizi di ristorazione e ricominciato a comprare nei negozi. Colpiscono ben 300mila visite negli agriturismi nello scorso fine settimana. Restano settori e aziende a ripresa più lenta, mezzo milione di disoccupati (in realtà quasi un milione) per causa pandemica, ma le proiezioni a partire dai dati citati rendono probabile un rimbalzo dell’economia superiore al previsto.
Infatti, parecchi centri studi, tra cui quello a elevata credibilità di Confindustria, stanno rivedendo o confermando le stime di crescita 2021 in rialzo. In queste, correttamente, il contributo dei soldi europei alla crescita è poca nel 2021 (0,4%, se l’acconto arrivasse a fine luglio) e non decisivo dal 2022 al 2026. Ciò non significa che tali denari siano irrilevanti, ma essendo per lo più dedicati a investimenti con denaro pubblico via debito eurogarantito (che bisognerà ripagare) in infrastrutture e programmi di modernizzazione, i loro effetti sulla crescita saranno differiti nel tempo. Pertanto la politica dovrebbe mettere in priorità misure stimolative del mercato privato affinché questo produca una crescita rapidissima, forte e diffusa.
Come? I dati basici mostrano che ci sono 1.700 miliardi di risparmio privato fermi nei conti bancari, migliaia di aziende italiane competitive e tra queste circa 1.500 pronte per la quotazione in Borsa. Ma anche mostrano che il 70% degli investimenti privati va all’estero e che le aziende sono reticenti a quotarsi, a fondersi per ingrandirsi o ad aprire il capitale a investitori. Aspetti culturali a parte, è evidente che la vera priorità in Italia è incentivare l’incrocio tra risparmio e le imprese che lo moltiplicano, rimuovendo le barriere, e non solo usare bene i soldi europei.
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