Dal Rapporto Export 2021 di Sace, secondo cui le nostre esportazioni a fine anno dovrebbero tornare ai livelli pre-Covid, e dal superindice Ocse più elevato tra i Paesi del G7 sono arrivati nuovi segnali incoraggianti per l’economia italiana. Tanto che, secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, nella Nota di aggiornamento al Def il Governo potrebbe portare la stima di crescita del Pil di quest’anno al 6%. Per Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, si tratterebbe di una previsione plausibile. Infatti, ci spiega, «dai primi dati Istat relativi al secondo trimestre sappiamo che la crescita acquisita del Pil per il 2021 è pari al 4,7%. Se tale stima non sarà rivista con il dato definitivo a inizio ottobre, tecnicamente con un incremento congiunturale del Pil del 2% nel terzo trimestre e dell’1% nel quarto chiuderemmo l’anno con un +6,1%. Se invece l’aumento fosse solo dell’1% in entrambi i trimestri, il risultato finale sarebbe un +5,5%. Tuttavia, è piuttosto difficile che nel terzo trimestre la crescita sia solo dell’1%, quindi la prima ipotesi mi pare piuttosto plausibile».
Perché?
Innanzitutto perché il terzo trimestre potrà contare sulla ripartenza del turismo e dei consumi, anche di servizi, che è stata più marcata rispetto al secondo trimestre. Inoltre, i dati relativi al mese luglio hanno mostrato che il temuto rallentamento della produzione industriale non c’è stato. Addirittura se si guarda la sola produzione manifatturiera si nota da inizio anno un incremento che non ha eguali nel resto d’Europa. L’edilizia, inoltre, sta continuando ad andare bene. Nel primo semestre l’Italia, nei settori del valore aggiunto, ha realizzato performance incredibili, risultando il primo Paese nell’Eurozona per crescita acquisita nella manifattura, nelle costruzioni e nell’export di beni.
Recentemente ha scritto sul Sole 24 Ore che ritiene che la ripresa della nostra economia non sia un mero “rimbalzo”. Come mai?
È vero che stiamo anche rimbalzando dato che l’anno scorso siamo caduti tanto come la Francia e la Spagna, ma rispetto a questi Paesi, e anche alla Germania, che oggi ha grossi problemi strutturali (non solo il settore auto, ma, per esempio, anche la crisi di Lufthansa), la nostra ripresa è molto più dinamica e sciolta. Anche nel turismo abbiamo fatto meglio di un competitor come la Spagna. Certo, mancano gli americani, i cinesi, i russi o i giapponesi che c’erano prima del Covid, ma sono stati tantissimi i tedeschi e francesi che sono venuti in Italia. Tutto questo è molto importante anche guardando al 2022.
Da che punto di vista?
La ripresa del nostro Paese sta arrivando con grande slancio al passaggio di testimone con l’implementazione del Pnrr. Ci avviciniamo a un momento importante in cui gli elementi di rafforzamento strutturale del passato si andranno a sposare con la gestione delle risorse del Recovery fund da parte di Draghi, che rappresenta una sorta di garanzia sul fatto che le riforme si faranno e i fondi non verranno sprecati. Anche i mercati guardano con una straordinaria fiducia all’Italia, ne abbiamo avuto riprova anche negli ultimi articoli del Financial Times.
Rimane fiducioso sul fatto che i rincari delle materie prime o i colli di bottiglia nelle forniture di alcune componenti non causeranno grossi problemi alla nostra industria?
È più facile che si determinino problemi produttivi per l’auto tedesca che per le macchine per imballaggi o gli yacht italiani. Domani (oggi, ndr) al Salone nautico di Genova vedremo dati impressionanti sull’export di quella che viene ancora considerata una “nicchia”, ma che è invece un settore importante per il Paese, come quello del mobile, la cui produzione industriale è risultata la più alta nell’Ue nei primi sette mesi dell’anno. Tutte le nostre nicchie, a parte qualche eccezione, stanno correndo. È chiaro che anche l’automotive italiano subisce i problemi determinati dalla mancanza di alcuni componenti, ma non come in Germania, dove rappresenta il settore più importante per la crescita del Pil.
Il ministro Cingolani lunedì ha lanciato un alert importante sui rincari energetici. Rischiano di essere un problema per le nostre imprese?
Sicuramente lo possono essere soprattutto per quelle energivore, che in Italia non sono marginali, ma importanti. Pensiamo all’acciaio che serve per la meccanica e alle costruzioni. Abbiamo quindi un problema di breve, le oscillazioni dei prezzi dell’energia, ma anche di lungo periodo visto il piano Fit for 55 dell’Ue. L’Italia deve essere consapevole che è giusto ridurre la CO2, ma che ci sono dei settori, come quello delle piastrelle, che non possono essere compromessi e vanno quindi sostenuti con degli appositi fondi nella transizione ecologica. È importante anche che Confindustria si batta per questo e non lasci soli questi settori.
Sta parlando di fondi italiani o fondi europei?
Sto parlando di fondi che l’Italia deve chiedere all’Europa, facendo anche capire che i settori di cui stiamo parlando vanno salvaguardati perché contribuiscono non solo all’export dell’Italia, ma anche a quello dell’Ue, dunque sono un patrimonio europeo. L’Europa non può non accorgersi che se un Paese è forte nel commercio mondiale, ha certe specializzazioni e settori importanti, scelte che li danneggiano rappresentano un problema che riguarda tutta l’Ue, perché penalizzano la sua bilancia commerciale.
(Lorenzo Torrisi)
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