“Questo Paese merita un governo coeso, dedito a tempo pieno a lavorare esclusivamente per il benessere dei cittadini e per favorire una pronta ripartenza della nostra vita sociale e una incisiva ripresa della nostra economia”, ha ripetuto ieri al Senato Giuseppe Conte nelle sue comunicazioni sulla situazione politica in atto, prima di incassare anche la fiducia di palazzo Madama dopo quella di Montecitorio. E certamente quella della ripresa economica è una sfida cruciale per il “nuovo” esecutivo, perché, come evidenziato dall’ultimo Bollettino della Banca d’Italia, quest’anno il Pil salirà del 3,5% contro il 6% stimato nella Nota di aggiornamento al Def di circa 3 mesi fa. C’è però un’indicazione più preoccupante, come spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, nel documento di via Nazionale.



A che cosa si riferisce Professore?

La Banca d’Italia scrive che nel caso “la domanda estera quest’anno ristagni a seguito di una più prolungata emergenza sanitaria e nel contempo le restrizioni all’attività economica in Italia si protraggano per un periodo più esteso”, si avrebbe un impatto sul Pil del -2,5%. In pratica cresceremmo solo dell’1%. Inoltre, se ci sarà “un irrigidimento dell’offerta di credito paragonabile a quello osservato durante la crisi finanziaria globale”, ci sarà un’ulteriore perdita dello 0,9%, con il rischio di una sostanziale crescita zero dopo il probabile -9% del 2020. Trovo realmente preoccupanti queste previsioni, tenuto conto anche di due fattori.



Quali?

Il primo è che le previsioni della Banca d’Italia, così come quelle della Nadef, prevedono l’utilizzo di parte delle risorse del Recovery fund già quest’anno, pertanto sarà importante accelerare sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il secondo è che via Nazionale ci sta dicendo quanto fondamentale sia un questo frangente il traino dell’export, specialmente per la nostra manifattura. Meno male, quindi, che non abbiamo chiuso le fabbriche in autunno e non le stiamo chiudendo adesso. Resta ovviamente il problema di una domanda interna che continua a traccheggiare.



Su questo fronte si può fare qualcosa?

Resto convinto della necessità di dare una scossa sul fronte degli investimenti pubblici, accelerando lo sblocca-cantieri. Mi auguro che davvero Conte abbia preparato una sorta di lista dei commissari per le opere. Se non si tratta di un ballon d’essai verrebbe soddisfatta una richiesta che Italia Viva faceva da tempo e ci si muoverebbe nella direzione di una massiccia ripresa degli investimenti pubblici in infrastrutture: si tratterebbe della mossa fondamentale, prima ancora della messa a punto finale del Pnrr, per evitare lo scenario peggiore prefigurato dalla Banca d’Italia.

A proposito del Pnrr, il Commissario europeo Gentiloni ne ha chiesto un rafforzamento. Lei cosa ne pensa?

Credo che vadano aggrediti i fattori di mancata crescita del nostro Paese negli ultimi anni, in modo anche da convincere l’Europa che si vogliono assumere scelte capaci di segnare una discontinuità importante. In un’analisi sul Sole 24 Ore ho evidenziato come nel quadriennio 2015-18, il migliore per l’Italia nell’era euro, ci sia stato comunque uno scarto enorme di crescita del valore aggiunto rispetto alla Germania: +4,9% contro +7,7%. Uno scarto che tuttavia si declina in maniera molto diversa dal punto di vista geografico, visto che il valore aggiunto al Nord ha fatto segnare un +6,3%, al Centro un +3,6% e al Sud un +2,7%.

Questi dati fondamentalmente cosa ci dicono per il Pnrr?

Che il Piano deve servire anzitutto per ridurre i divari territoriali che la pandemia sta ampliando. Servono interventi importanti per il Mezzogiorno. Ho poi mostrato che “l’economia privata non finanziaria escluse le costruzioni” del Nord ha dato un contributo aggiuntivo di crescita al Pil del 6,5%, contro il 6,3% dell’intera Germania. Tuttavia nel settore “economia pubblica, costruzioni, banche e assicurazioni” il Settentrione ha visto un contributivo negativo al Pil dello 0,3% (mentre in Germania ha fatto registrare un +1,3%). Dunque c’è anche questo divario settoriale da sanare. Dobbiamo pertanto infrastrutturare e ammodernare il Sud e la Pubblica amministrazione, presentando all’Europa soluzioni, all’interno delle mission del Pnrr, per colmare i principali gap che pesano sulla nostra crescita. Nel frattempo dobbiamo poter avere la possibilità di intervenire con investimenti urgenti su vecchi e nuovi cantieri per controbilanciare nel breve termine la debolezza della domanda interna privata.

Conte, nel suo discorso alle Camere, ha ricordato l’importanza della riforma fiscale. Su questo terreno sta però emergendo la possibilità di reintrodurre l’Imu sulla prima casa. Cosa ne pensa?

Si può certo discettare quanto si vuole sull’Imu e sulle patrimoniali, ma bisogna rendersi conto che più se ne parla, più si indebolisce la volontà di spesa del ceto medio italiano, tenendo di fatto bloccati i consumi privati e togliendo benzina a un motore importante per la crescita. Non è poi così che si riducono le disuguaglianze sociali, ma agendo sui divari territoriali di cui ho parlato prima. Tra l’altro l’edilizia è l’unico settore che sta tirando, grazie anche ai bonus fiscali approvati, avendo fatto registrare un rimbalzo di circa il 50% nel terzo trimestre rispetto al secondo. Siamo sicuri di volerlo azzoppare parlando di nuove imposte sugli immobili?

Secondo lei la crisi di Governo ha inciso sulle nostre possibilità di ripresa?

Non credo che le abbia ridotte, anzi, semmai ha messo in evidenza i problemi che se lasciati ulteriormente a macerare possono compromettere la ripresa del 2021 e forse del 2022. Ritengo che il vero problema non sia quello di avere un Governo di maggioranza piuttosto che di minoranza, quanto piuttosto quello di avere un esecutivo che prende delle decisioni. Possibilmente migliorando il Pnrr e facendo partire effettivamente gli investimenti già programmati.

(Lorenzo Torrisi)