Si è sempre detto che il mondo degli sport professionistici negli Stati Uniti rappresenta un modello da seguire: regole chiare sui salari, organizzazione patinata e che rasenta la perfezione, intrattenimento prima del mero risultato, eccetera eccetera. Anche il modo in cui la NBA ha deciso di ripartire dopo la pandemia da Coronavirus sembra andare in questa direzione, confermando se non altro l’autorevolezza nel prendere in mano la situazione: tutti al Disney World Resort, chi ha deciso di non scendere in campo viene tagliato fuori, riduzione delle partite di regular season in modo da garantire il regolare svolgimento dei playoff, perché sono quelli che rendono lo spettacolo scintillante agli occhi del mondo. Tutto vero, ma anche il commissioner Adam Silver ha le sue gatte da pelare: forse grattando la superficie della struttura si nota qualche ammaccatura, sotto forma di dubbi e riserve ancora da sciogliere.
E’ notizia di oggi quella di 40-50 giocatori che, nell’ultima conference call, hanno espresso la loro perplessità circa la ripresa della NBA. I motivi sono vari: come riporta Sportando, innanzitutto c’è la situazione delle famiglie: il ritiro dorato in Florida ha sicuramente i suoi vantaggi in termini di isolamento anti-Coronavirus e benefit, ma nessun componente del nucleo familiare potrà entrarvi né il singolo giocatore potrà uscire. Meglio: volendo potrebbe farlo, ma al ritorno nel Disney World Resort dovrebbe sottostare a 10 giorni obbligatori di quarantena. Tradotto, sarebbe costretto a saltare più di una partita. In più ci sono le tensioni che in questo momento stanno colpendo violentemente gli Stati Uniti: parecchi sportivi hanno fatto sentire la loro voce a seguito della morte di George Floyd, ancora ieri LeBron James ha postato una sua foto in cui indossa la maglietta con la scritta “Uguaglianza” e il commento “Cos’altro volete da noi?”, e in generale sono settimane che i contenuti social di molti atleti vertono esclusivamente sul tema.
RIPRESA NBA: CI SONO ANCORA DUBBI
I dubbi relativi alla ripresa ovviamente riguarderebbero in prima istanza gli appartenenti alle squadre che non hanno più la possibilità di vincere il titolo: come sappiamo negli sport professionistici Usa non esistono altri obiettivi stagionali che la vittoria del campionato, naturalmente anche qui la visibilità in cerca di buoni contratti è di casa ma, venendo a mancare anche il pubblico e dunque gli introiti dei biglietti e di tutto il merchandising e articoli correlati – e proprio perché la NBA è innanzitutto intrattenimento – una larga fetta dell’interesse viene a scemare. D’accordo i diritti tv (tanto è vero che si raggiungeranno le 70 partite utili ad incassare), d’accordo la volontà di portare a termine la stagione, ma così non è la stessa cosa e comunque il fatto che parecchi addetti ai lavori vedano il bicchiere più che mezzo vuoto deve fare riflettere. C’è poi un altro aspetto da considerare: la Lega di basket, che ha chiuso i battenti praticamente in concomitanza con lo stop del calcio e di tutti gli altri sport in Europa, ripartirà soltanto il 31 luglio.
In Italia abbiamo letto giorno per giorno discussioni, liti, cambi di protocollo, dietrofront e tirate: alla fine però domani saremo di nuovo in campo per la prima semifinale di Coppa Italia. Ogni Paese ha la sua criticità e questo va sempre considerato, ma il calcio di casa nostra tornerà a essere protagonista un mese e mezzo prima della NBA. La quale dunque ha impiegato parecchio tempo prima di definire una ripresa ufficiale, che comunque avverrà a porte chiuse e in un isolamento quasi totale, e senza nemmeno tutte le squadre coinvolte. Per dirla tutta, il fatto che gli Atlanta Hawks non saranno presenti fa chiudere la strepitosa carriera di Vince Carter dal salotto di casa, senza le dovute celebrazioni che Air Canada avrebbe meritato. Argomento sicuramente secondario, ma in una Lega nella quale anche i video di omaggio ai giocatori fanno spettacolo a parte che merita il biglietto, è chiaro che la cosa stoni parecchio. Legato a questo abbiamo anche il tema degli stipendi: chi non giocherà non sarà pagato, e le franchigie potranno operare sostituzioni nel roster.
IL SISTEMA SCRICCHIOLA?
Allo stesso modo, la NBA alla sua ripresa permetterà che giocatori positivi al Coronavirus o infortunati possano venire rimpiazzati; è stata anche aperta una finestra per firmare eventuali svincolati, tanto che l’ultima indiscrezione riguarda i Los Angeles Lakers e la possibilità di rimettere sotto contratto DeMarcus Cousins, tagliato a stagione in corso dopo l’ennesimo grave infortunio (avvenuto già in estate). Insomma: la NBA riparte, ma con parecchi dubbi che si trascina dietro. Al momento, comunque, nessuno dei giocatori che ha espresso dubbi sulla ripartenza si è apertamente schierato contro il ritorno sul parquet, ma manca ancora un mese e mezzo prima che si giochi e la situazione potrebbe nuovamente cambiare. Siamo ben lontani dal mondo colorato e zuccherato che siamo soliti raccontare: è vero che la Lega è passi avanti rispetto ad alcune realtà di casa nostra, ma questo non sempre si traduce in un piano perfetto e seguito da tutti all’unisono.