Lo stato di salute dell’Italia era precario già ben prima del Covid. La produttività di molti dei suoi territori è stagnante da alcuni decenni, e una quota crescente di giovani professionalmente molto qualificati lascia diverse regioni del Paese, e in molti casi emigra dal Paese stesso

La ripartenza dopo il Covid richiederà un cambio di marcia. In particolare, occorre capire come rendere i territori italiani di nuovo attraenti, specie nei confronti di coloro che, disponendo di elevato capitale umano, possono contribuire significativamente al loro sviluppo. I cambiamenti strutturali del mercato del lavoro, emersi durante il Covid, e che potrebbero consolidarsi a emergenza conclusa, possono offrirci delle opportunità. Un vantaggio competitivo che a molte aree dell’Italia è ampiamente riconosciuto riguarda la qualità della vita: non solo eccellente cucina, arte e natura, ma anche un sistema sanitario e un sistema educativo mediamente molto buoni, e un accettabile bilanciamento fra vita lavorativa e vita sociale. Rafforzando una tendenza già presente in precedenza (come mostra il lavoro di Rebecca Diamond, “The Determinants and Welfare Implications of US Workers’ Diverging Location Choices by Skill: 1980-2000”, American Economic Review, 106(3): 479-524, 2016), nella “nuova normalità” post-Covid il criterio della qualità della vita potrebbe guidare le scelte di dove stabilire la propria residenza per individui con elevata professionalità. Vediamo perché.



Negli scorsi anni, si è assistito all’accentramento dell’innovazione in grandi capitali e in aree di alta concentrazione tecnologica, come la Silicon Valley, Londra o Berlino. La prossimità fisica fra individui con elevato capitale umano è stato ed è tuttora una determinante fondamentale, forse la principale, per la creazione di imprese di successo. Per poterla garantire, le imprese innovatrici hanno finora accettato gli elevatissimi costi, diretti – in termini di valori immobiliare – e indiretti – in termini di riduzione della qualità della vita dei propri collaboratori, che questa concentrazione in poche aree ha comportato.



Il Covid sembra aver modificato queste tendenze. Facebook ha annunciato che il 50% della forza lavoro potrà lavorare permanentemente da casa anche post-vaccino. Twitter punta a quasi il 100%. A Londra, la City si è svuotata, chissà in quale misura transitoriamente e in quale misura in modo definitivo.

Questo approccio al lavoro è destinato a continuare nel futuro? Difficile, naturalmente, a dirsi. Sembra improbabile, e probabilmente nemmeno auspicabile, un passaggio, almeno in tempi rapidi e date le attuali tecnologie a disposizione, a un lavoro completamente in modalità remota. Sembra invece delinearsi una tendenza intermedia, che potrebbe già emergere nel breve termine. È ormai infatti sempre più chiaro che, in molte attività, molte delle quali ad elevatissimo valore aggiunto, non serve essere in ufficio tutti e cinque i giorni della settimana. Come mostra una recente ricerca di Marta Angelici e Paola Profeta, un’attività lavorativa effettuata almeno in parte in modalità remota ne aumenta la produttività, oltre ad aumentare il livello di soddisfazione di chi la svolge. In questo contesto, l’ufficio diventa quindi il luogo dell’interazione con i colleghi e non più quello del lavoro autonomo. A testimonianza di ciò, gli stessi uffici stanno, in molti casi, riprogettando gli spazi, per dare più spazio alla collaborazione. Nel suo rapporto “Reimmaginare l’ufficio e la vita lavorativa dopo Covid-19”, McKinsey ipotizza che in futuro fino all’80% degli spazi lavorativi potrebbero essere dedicati alla collaborazione, a scapito delle scrivanie individuali.



Un professionista che lavora in ufficio un massimo di 2 o 3 giorni la settimana potrà quindi pensare di stabilire la propria residenza altrove. Questo fenomeno può spiegare l’andamento dei prezzi immobiliari, sia di vendita che di affitto, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, che registrano aumenti più considerevoli (o riduzioni più contenute) al di fuori dei centri urbani.

Se trasliamo questa dinamica all’Italia, potrebbe significare che, ad esempio, città come Torino, Brescia e Verona, così come centri di più piccole dimensioni, magari più economici rispetto a Milano, ma in alcuni casi molto belli e caratterizzati da un’elevata qualità della vita, potrebbero diventare una scelta attrattiva per chi lavora qualche giorno a settimana a Milano. Lo stesso vale per città e territori posti in prossimità di Roma, incluse zone della Campania. La chiave, tuttavia, è un’interconnessione veloce e affidabile con i centri nevralgici. 

Non è nemmeno detto che questi spostamenti debbano essere limitati al solo territorio nazionale. Territori che beneficiano di un’adeguata interconnessione aeroportuale e di un sistema di trasporto intermodale efficiente potrebbero ospitare professionisti operanti in imprese straniere, che con una certa cadenza – magari settimanale o bisettimanale – si spostano per lavorare all’estero. 

Per i professionisti che scelgono di stabilire la propria residenza lontano dall’ufficio, la residenza è molto più che un dormitorio. Trascorrendo la maggior parte della settimana nella propria residenza, queste professionalità, che in genere sono ricche di idee e di spirito di iniziativa, hanno la possibilità – e probabilmente anche l’incentivo – di contribuire significativamente allo sviluppo del territorio, oltre, naturalmente, a far crescere i consumi locali. Questo fenomeno, d’altronde, già si sta osservando in Gran Bretagna, dove un recente studio realizzato da Pwc ha rilevato che, sebbene le chiusure definitive di negozi siano (come prevedibile) aumentate durante la pandemia, le nuove aperture sono rimaste stabili, e anzi sono addirittura cresciute in aree tradizionalmente più residenziali, in cui ora i professionisti trascorrono più tempo.

Attrarre professionisti al di fuori di grandi centri richiede non solo investimenti digitali che rendano possibile il lavoro da remoto, ma anche investimenti infrastrutturali che riducano i tempi di percorrenza e aumentino l’affidabilità dei sistemi di trasporto. Il Next Generation Eu Plan ci offre la possibilità di effettuare tali investimenti infrastrutturali. Se dovessimo limitarci a calibrare gli investimenti sulla base delle esigenze di chi attualmente risiede nei diversi territori, perderemmo l’opportunità – forse unica dato il momento storico – di utilizzarli per attrarre quel capitale umano che tanto ci manca per dare una spinta alla crescita del Paese.