Questa è la settimana del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr). Nella stesura firmata da Mario Draghi, dopo un primo passaggio in Consiglio dei ministri sabato 24 aprile e una presentazione in Parlamento, il documento sarà di nuovo esaminato dal Consiglio dei ministri e inviato alla Commissione europea entro la scadenza del 30 aprile.
Gli occhi degli osservatori sono tutti puntati sul Pnrr: 200 miliardi di euro su sei anni, la parte più importante di una Recovery and Resilience Facility del Next Generation Eu che ammonta nel complesso a 750 miliardi di euro. Le stesse stime econometriche illustrate nel Pnrr italiano chiariscono che l’apporto alla ripresa non sarà marginale ma modesto: tra investimenti e riforme un impatto sul Pil tra lo 0,5% e l’1% l’anno per un totale aggregato del 3,6% su sei anni.
C’è un vero e proprio fiume di denaro molto più ampio in arrivo da oltre Atlantico e dai conti correnti. Che effetti avrà sulla crescita nel breve e soprattutto nel medio periodo. Negli Stati Unti, l’Amministrazione Biden, dopo avere attivato 1.900 miliardi di dollari essenzialmente per sollievi, ristori e sostegni alle famiglie colpite dalla pandemia, sta lanciando un programma di 3.000 miliardi di dollari per investimenti (soprattutto infrastrutture e trasformazione tecnologica) per un “New Deal” più incisivo di quello di rooseveltiana memoria. In aggiunta, durante la pandemia (peraltro non ancora terminata), nei conti correnti e nei fondi delle famiglie a reddito medio e medio alto dei Paesi Ocse si sono accumulati circa 3.000 miliardi di risparmi aggiuntivi (quasi 200 solo in Italia) sia per finalità precauzionali, sia per spese non essenziali (abbigliamento, spettacoli, ristoranti, viaggi, vacanze) non effettuate durante i vari lockdown.
Questo fiume di denaro darà una spinta alla crescita di breve e di medio periodo e renderà le economie più resistenti a nuove crisi? Indubbiamente, nel breve periodo, la spinta di bilancio (quasi dappertutto in disavanzo) si avvertirà, soprattutto negli Stati Uniti: se il Congresso approva il programma d’investimenti, nel 2021 il disavanzo negli Stati Uniti sarà pari al 10% circa del Pil (e il debito della Pubblica amministrazione raggiungerà quasi il 130% del Pil) e ne conseguirà un forte stimolo fiscale. Tale spinta si riflette già sui prezzi: il tasso di aumento dei prezzi al consumo viaggia sul 2,6% l’anno e potrebbe raggiungere il 4% l’anno entro la fine del 2021.
Interverranno le autorità monetario per calmierarlo? C’è da dubitarne poiché c’è una forte intesa tra il Segretario al Tesoro Janet Yellen e il Presidente della Federal Reserve Jerome Powell: hanno lavorato insieme per anni e istituzionalizzato riunioni settimanali. Inoltre, le autorità monetarie americane non hanno solo l’obiettivo della stabilità monetaria (come quelle europee) ma anche quello della piena occupazione e oggi il tasso di disoccupazione sfiora il 14%. Infine, il dollaro è più che mai al centro del sistema monetario mondiale: ciò attutisce le preoccupazioni per il debito pubblico non solo perché si troveranno sempre acquirenti per le obbligazioni del Tesoro Usa, ma anche perché, se del caso, si può operare sul cambio.
Nell’Unione europea lo stimolo fiscale è pari alla metà di quello posto in essere negli Stati Uniti sia a ragione del più alto debito pubblico già in essere, sia perché l’euro non ha una posizione pari al dollaro nel sistema monetario internazionale. L’Ue, però, spera che principalmente tramite il commercio internazionale parte dello stimolo Usa si riverbererà sul Continente vecchio.
Nel breve periodo, il fiume di denaro che ha origine dal Potomac (che bagna Washington) piloterà senza dubbio una ripresa (più forte negli Usa che nell’Ue) trainata dalla domanda causata sia dai ristori, sostegni e simili, sia dalla fase di cantiere del programma infrastrutturale. Tuttavia, il quadro è meno promettente per il medio periodo dato che le infrastrutture hanno una modesta capacità di attivazione a lungo termine (tutta imperniata sull’aumento della produttività) e la trasformazione tecnologica – necessaria per la crescita – spiazza dal mercato del lavoro coloro che sono poco qualificati. Aumentando diseguaglianze e tensioni sociali, specialmente laddove, come negli Usa, il welfare è quasi non esistente.
Analoghe le prospettive per l’Ue aggravate da due elementi: parte dello stimolo è d’importazione e il quadro demografico denota un processo d’invecchiamento maggiore che negli Usa.
E i 3.000 miliardi di risparmi aggiuntivi? Da un lato, i Governi stanno pensando a modi e maniere per metterci le mani sopra, anche e soprattutto per ridurre l’indebitamento delle pubbliche amministrazioni accumulatosi durante la pandemia. Anche per questo motivo, numerosi Governi preferiscono che non se parli troppo. Da un altro, per incanalarli verso la crescita si dovrebbero sviluppare forme più ampie dei Pir (Piani individuali di risparmio delle famiglie) per convogliarli verso le imprese, molte delle quali hanno bisogno di ricapitalizzare, un’esigenza che sarà probabilmente ancora più avvertita quando si sarà usciti dalla pandemia.
Ciò incoraggerebbe molte famiglie a livello medio alto a considerare il risparmio aggiuntivo accumulato durante la pandemia non “reddito” ma “ricchezza”. La differenza non è una raffinatezza semantica. Se il “tesoretto”, o parte significativa di esso, verrà considerato “ricchezza”, il risparmio aggiuntivo verrà, almeno in parte, utilizzato per aumentare il capitale (sia fisico, sia umano, sia sociale); ciò potrà contribuire a una ripresa solida di medio periodo. Se, invece, verrà considerato “reddito”, c’è il rischio di cadere nella trappola di un nuovo ciclo di “ruggenti anni Venti” con bolle finanziarie e relative esplosioni. Per il momento, le stime Ocse, JPMorgan-Chase, e Goldman Sachs, ipotizzano che il “tesoretto” verrà considerato, dai titolari, “reddito” e che la ripresa sarà guidata da una spinta dei consumi privati. Altri, come ad esempio Iorma (un istituto di ricerca inglese), sono più cauti e hanno iniziato uno studio delle tendenze dei consumatori nelle maggiori aree merceologiche.
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