Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è giunto a Bruxelles e adesso molti si chiedono quando arriveranno i primi stanziamenti. Non è mera impazienza (sia pur comprensibile), ma la paura di una nuova emergenza economica.
Il primo maggio, festa dei lavoratori, non è stato davvero un giorno di gaudio con 20 milioni di disoccupati e 40 milioni di lavoratori sospesi nell’Unione europea. In Italia 900 mila posti di lavoro sono stati perduti in un anno, mentre l’Inps ha pagato dal maggio 2020 al marzo 2021 ben 19 milioni e 775 mila assegni di cassa integrazione tra ordinaria, in deroga e fondi di solidarietà. Il primo trimestre scorso ha visto in cassa integrazione ancora 3 milioni e 500 mila lavoratori. E quando scadrà il blocco dei licenziamenti si teme quella che viene chiamata una “bomba sociale”.
Intanto, i dati diffusi da Eurostat confermano che la zona euro è caduta in una seconda recessione provocata dalla seconda ondata della pandemia. Tra gennaio e fine marzo il Pil è sceso dello 0,6% rispetto ai tre mesi precedenti che avevano fatto registrare un meno 0,7%. Il tonfo maggiore in Portogallo (-3,3%), seguito dalla Germania (-1,7%), dalla Spagna (-0,5%), dall’Italia (-0,4%), la Francia mostra un segno più, ma con un modesto 0,4%.
La delusione è profonda, la molla forse è carica, ma non scatta. Il Covid-19 picchia ancora duramente e la campagna vaccinale è molto indietro rispetto agli Stati Uniti. Ciò vale anche per la marcia dell’economia: gli Usa nel primo trimestre hanno fatto registrare l’1,7% in più. Dunque la doppia forbice, sanitaria ed economica, si allarga, le due rive dell’Atlantico s’allontanano. Il confronto tra Ue e Usa è impietoso. Altrettanto impietoso se si guarda alle misure per il rilancio, una questione di quantità, di tempi, di efficienza.
Quasi tutti i Paesi hanno presentato i loro piani, mancano ancora all’appello Polonia, Olanda e Finlandia e questo allunga i tempi già troppo lunghi rispetto all’emergenza economica. Nell’insieme la Commissione europea dovrà leggere e esaminare qualcosa come 100 mila pagine di cifre, progetti, proposte. Marco Buti, consigliere economico del commissario Gentiloni, ieri mattina alla radio Rai ha delineato la scaletta temporale: occorrono 8 settimane per valutare i piani e tradurli in una decisione giuridica, poi passano al Consiglio che a sua volta avrà 4 settimane per dare il suo parere, nel frattempo i governi dovranno decidere sulle risorse proprie affinché l’Ue vada sul mercato per approvvigionarsi. Tutti debbono ratificare il tetto risorse proprie, solo dopo sarà possibile emettere i titoli comuni. C’è dunque anche in questo caso il rischio di ulteriori ritardi.
Si deciderà tutto al Consiglio di giugno? “Facciamo del nostro meglio. Ci vuole consapevolezza e mobilitazione collettiva”, spiega Buti. L’ipotesi ottimistica è di andare sui mercati a luglio, a quel punto sarà possibile erogare la tranche del 13% anticipata per quest’anno. Ciò vuol dire che nell’intero 2021 verranno immessi nell’economia europea poco meno di 240 miliardi di euro sui 1.824 miliardi del piano per la ripresa spalmato su sei anni. Davvero di pensa di sostenere una robusta crescita con questo minimo stimolo?
L’Amministrazione Biden ha varato un piano anti-pandemia da 1.900 miliardi di dollari e ha mobilitato 4 mila miliardi di dollari (con 2 mila miliardi di investimenti in particolare nelle infrastrutture) di qui ai prossimi anni. Circa 2 mila miliardi per investimenti soprattutto nelle infrastrutture, mentre la scorsa settimana il Presidente ha presentato al Congresso il pacchetto fiscale: ben 1.800 miliardi tra riduzioni dirette e crediti d’imposta, finanziato in parte con un aumento delle imposte sulle grandi imprese e sui redditi più elevati. Se passa, produrrà una delle maggiori redistribuzioni di reddito attraverso le tasse dal New Deal degli anni ’30.
Impallidisce rispetto a questa ingente massa di denaro il Next Generation Eu che pure rappresenta un gran passo avanti anche perché introduce un principio di condivisione dei costi e delle strategie economiche che prima della pandemia era stato bocciato dalla maggioranza dei Paesi. L’Ue non è in grado di spendere di più, al resto penseranno i singoli Stati indebitandosi o, se sono in grado, aumentando le tasse. Ma adesso la questione di fondo riguarda i tempi.
Accelerare diventa essenziale; cosa può fare Mario Draghi? Può far ripartire davvero i cantieri; i soldi ci sono, dieci miliardi pronti da spendere dice il ministro Giovannini che promette in una intervista al Sole 24 Ore: si comincia lunedì, cioè domani. Prendiamolo alla lettera, anche se l’esperienza, a cominciare dalla più recente, legittima un certo scetticismo. Il Governo deve poi chiarire subito come disinnescare due mine: l’invio delle cartelle esattoriali e lo sblocco dei licenziamenti. Ulteriori rinvii potranno essere inevitabili, ma occorre una chiara road map per il fisco e per il lavoro. Ci sono poi gli incentivi alle imprese essenziali per avviare un ciclo di investimenti privati.
È fondamentale spendere presto e bene i trasferimenti monetari già varati per compensare le perdite provocate dalla pandemia e c’è bisogno di sapere quali aziende hanno bisogno di un’iniezione di capitale da realizzare con la garanzia pubblica. Qui è già all’orizzonte un contrasto con l’Ue: la Commissione chiede un sostegno limitato ai settori innovativi, però in Italia sale la pressione sul Parlamento affinché si adottino norme più estensive. Colmare il gap in attesa che arrivi, si spera fin da settembre, la prima tranche del piano europeo, non sarà facile, ma questa è la priorità per impedire che la recessione del primo trimestre si trascini per buona parte dell’anno.
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