Il Pil italiano nel 2021 è cresciuto del 6,5%. Secondo Eurostat, il nostro Paese è quello che è cresciuto di più in Europa. Un risultato certamente importante e superiore alle aspettative, ma l’anno in corso potrebbe non andare così bene se Banca d’Italia e Fondo monetario internazionale nei giorni scorsi hanno dovuto già rivedere al ribasso le loro stime al 3,8%. In ogni caso, come spiega l’Istat, il 2022 è iniziato con una crescita acquisita del 2,4%.
«Questo vuol dire – evidenzia Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – che ci sono fondate possibilità di tornare ai livelli di Pil pre-Covid quest’anno. Occorre però fare attenzione ad alcune variabili endogene ed esogene».
A livello interno a cosa occorre prestare attenzione?
I comparti in cui il ritorno ai livelli pre-Covid è più lontano sono quelli del turismo (e connessi servizi di ristorazione e commercio al dettaglio in molte città d’arte) e dei trasporti. La ripresa potrebbe essere più solida se oltre al ritorno dei turisti stranieri vi fosse una spinta interna per questi settori. Diventa quindi cruciale la questione dei redditi, anche perché dai dati Ocse emerge che nell’ultimo decennio i livelli salariali in Italia hanno rallentato più che altrove. E purtroppo è proseguito un processo di delocalizzazione di imprese, soprattutto multinazionali, che certamente non giova né sul fronte del Pil, né su quello occupazionale e retributivo.
È però cruciale anche l’andamento dell’inflazione, visto che minaccia il potere d’acquisto degli italiani…
Sì. E qui entrano in gioco le variabili esogene, perché abbiamo ben visto che le catene del valore globali reggono solo se funzionano come un orologio svizzero. Se così non avviene, allora si determinano problemi sia sul lato della produzione che dell’inflazione. Mi auguro che, tramite il Pnrr, si possa avere una spinta sul fronte degli investimenti in tecnologia e ricerca vista l’importanza che possono avere nella localizzazione produttiva e quindi anche sul fronte occupazionale.
Il fatto che l’Italia l’anno scorso sia riuscita a crescere più delle attese, e più degli altri Paesi europei, può far ben sperare?
Possiamo certamente essere soddisfatti per la crescita raggiunta, ma senza trionfalismi, perché a livello europeo il nostro “salvagente”, almeno fino allo scoppio della pandemia, è stato il saldo primario di bilancio positivo. Naturalmente ora è ancora negativo, ma riportarlo in attivo, grazie a un ulteriore miglioramento dell’attività produttiva che può far crescere il gettito fiscale, insieme a un maggior recupero dall’evasione, dovrebbe essere un obiettivo prioritario.
Perché?
Perché se non raggiungeremo un saldo primario positivo o vicino al pareggio nel 2023 arriveremo all’appuntamento chiave della riforma del Patto di stabilità e crescita con una minor forza contrattuale.
L’importante è che il saldo primario positivo sia raggiunto via crescita e non tramite tagli alla spesa…
Esatto.
Un ostacolo rispetto a questo obiettivo, oltre a una crescita fiacca, è rappresentato dall’aumento della spesa per interessi sui titoli di Stato a causa di un aumento dello spread dovuto anche a un atteggiamento della Bce diverso da quello dell’anno scorso.
A livello europeo non dovrebbero esserci grandi cambiamenti dal punto di vista della politica monetaria, ma non bisogna dimenticare che globalizzazione dei mercati dei capitali significa che quello che succede in America ha riflessi anche in Europa. E la Fed ha già programmato almeno tre rialzi dei tassi per quest’anno. Recentemente ho notato una tendenza che non mi è piaciuta: lo spread è rimasto sotto soglie che non fanno scattare l’allarme, ma lentamente ha continuato a crescere. Occorre quindi prestare attenzione e cercare di evitare assolutamente uno scenario in cui vi siano sia il saldo primario lontano dal pareggio che lo spread in crescita.
Cosa può fare il Governo per contenere lo spread e non far scendere il Pil?
Dal punto dei vista dei garanti internazionali sul piano politico dovremmo essere ormai a posto. L’importante ora è cosa faranno in concreto. Per esempio, l’eco delle notizie sugli abusi relativi ai sostegni stanziati contro la crisi da Covid e il superbonus al 110% arriverà per forza anche a Bruxelles. Occorre quindi fare in modo che le risorse pubbliche siano ben utilizzate. In tal senso sarebbe molto importante una riforma della Pa che aiuti a spendere meglio in modo misurabile ed efficiente.
Questo aiuterebbe a contenere lo spread. E per quanto riguarda il sostegno alle imprese che sono in forte difficoltà visti i rincari energetici?
In una precedente intervista le citai un passaggio della Relazione della Banca d’Italia sull’economia del nostro Paese del 1973 che si concludeva con la presa d’atto che il Paese si trovava esposto “in modo grave alle conseguenze della crisi energetica”. Occorre evitare di ritornare in quella situazione. Certamente un allentamento delle tensioni che stanno facendo salire enormemente il prezzo del gas rappresenterebbe una boccata d’ossigeno. Diversamente, nel breve periodo non abbiamo alternative. Andrebbero quanto meno favoriti tutti gli interventi in grado di migliorare l’efficienza energetica delle nostre imprese e individuate le modalità per perseguire un obiettivo nazionale importante che non è contenuto nel Pnrr: aumentare la nostra autosufficienza energetica.
(Lorenzo Torrisi)
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