Ancora non è chiaro quale sarà il futuro del Governo e perdura la stasi sull’autonomia, come su altri temi che hanno riflessi economici, per esempio l’avvio o meno della Tav. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat, combinati a uno spread tornato sotto la soglia dei 200 punti base, sembrano dare rassicurazioni sullo stato di salute dell’economia italiana, ma, al di là delle stime invariate del Fondo monetario internazionale sul nostro Pil, è davvero così? «Oltre allo scenario politico paralizzato abbiamo anche una specie di paralisi del sistema economico. Tutte le componenti di stimolo dell’economia sono rallentate, se non addirittura ferme», ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



A cosa fa riferimento in particolare?

La domanda estera sta risentendo un po’ ovunque delle tensioni internazionali, quindi le esportazioni non stanno crescendo più come in passato. Quella componente di traino dell’economia, che molto aveva dato negli ultimi anni, non tanto in termini di crescita del Pil, quanto di irrobustimento delle imprese esportatrici e di miglioramento della bilancia commerciale e della posizione finanziaria sull’estero, si è praticamente fermata. Abbiamo poi una domanda interna che non accenna a smuoversi, soprattutto perché le due componenti più vivaci che avevano sostenuto il Pil negli ultimi anni – gli investimenti tecnologici delle imprese e i consumi delle famiglie – si sono completamente fermate.



Lei ha contatti con associazioni datoriali e industriali: le imprese come vedono la situazione?

Proprio in questi giorni sono usciti i dati Ucimu che parlano di ordini interni di macchine utensili in calo del 43% nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2018. Diminuiscono del 28,5% anche gli ordini dall’estero. C’è quindi preoccupazione e nei settori produttivi si auspica un sostegno costante e senza interruzioni dei provvedimenti di legge per incentivare gli investimenti. Non si tratta di elargizioni, ma di uno stimolo che se viene meno, o se si lascia il quadro normativo poco chiaro, causa un blocco in attesa di vedere cosa succede. Le imprese chiedono anche un credito d’imposta per la formazione 4.0 e per la partecipazione a fiere internazionali.



Eppure gli ultimi dati diffusi dall’Istat, come il fatturato dell’industria o le esportazioni, sembravano essere positivi…

Si tratta di movimenti di breve periodo che sono da prendere con le pinze. Bisognerebbe che il trend si consolidasse prima di poter essere ottimisti. Il vero problema è che non ci sono molte prospettive, le previsioni internazionali sono chiare. E non vedo settori in questo momento in grado di far ripartire il ciclo economico. È come se l’Italia avesse un Pil-1 e un Pil-2. Il primo è quello dei settori che funzionano (manifattura, commercio, turismo) e che viaggiano a ritmi tedeschi, ma che stanno rallentando. Il secondo è quello legato a infrastrutture pubbliche, reti, Pubblica amministrazione, persino le banche, cioè a settori che sono completamente fermi. Il fatto che si stia fermando il Pil-1 dovrebbe destare preoccupazione.

Anche il calo dello spread sembra una notizia positiva.

Abbiamo avuto un vantaggio grazie agli annunci di Draghi e all’orizzonte c’è una Lagarde che sembra rappresentare un elemento di continuità, di tranquillità sul fatto che l’economia non verrà “stritolata” da falchi teutonici. Dovremmo approfittare di questo abbassamento dello spread. Non è chiaro però per fare che cosa, visto l’immobilismo politico.

Settimana scorsa c’è stato l’incontro tra Salvini e parti sociali e giovedì toccherà invece al Premier incontrare sindacati e imprese. Sul tavolo c’è principalmente il tema del fisco. Non si può ripartire da qui?

Come dimostrato dagli ultimi scambi con la Commissione europea, gli spazi di manovra per poter fare chissà cosa sul fisco non ci sono. Anzi, ogni volta che si lanciano manifesti di grandi interventi fiscali poi si va a Bruxelles e si torna indietro con il capo cosparso di cenere. Non ci sono soldi per fare promesse sulle tasse.

Professore, per chiudere uno dei temi su cui esistono attriti nella maggioranza riguarda l’autonomia. La sua implementazione aiuterebbe le imprese?

L’atteggiamento degli industriali su questo tema è molto prudente, anche perché ancora non è chiaro che tipo di autonomia vuole la maggioranza. Fin quando si legge che le imprese devono essere svincolate dalla burocrazia, chiaramente non si può che essere d’accordo. Ma se si dice che certe competenze vanno spostate dal centro alla periferia è naturale cominciare a nutrire qualche dubbio: su certe questioni, come reti ed energia, è meglio non decentralizzare, perché in Paese come il nostro aumenterebbero le inefficienze del sistema e le imprese lo sanno benissimo.

(Lorenzo Torrisi)