Dopo un 2021 chiuso con una crescita superiore al 6% (solo tra qualche mese conosceremo con esattezza il dato sul Pil), l’anno nuovo è iniziato con una grande incognita sull’andamento dell’economia, soprattutto per il brusco aumento dei contagi da Covid. «Prima dell’ondata spinta da Omicron – ci dice Mario Baldassarri, ex viceministro all’Economia e Presidente di EconomiaReale – le previsioni del nostro centro studi, in linea con molte altre, davano il Pil in crescita del 4,7% nel 2022. Nell’ipotesi in cui la nuova variante esaurisse i suoi effetti a metà febbraio, la crescita si collocherebbe tra il 3,5% e il 4%. Quest’anno, quindi, riusciremo a tornare ai livelli pre-Covid».
Lei ha citato la variante Omicron, ma ci sono comparti che rischiano una brusca frenata per via dei rincari delle materie prime, in particolare energetiche.
Certamente questi rincari faranno sentire il loro effetto. Su questo tema credo ci sia però una grande confusione. C’è stato indubbiamente un aumento dei prezzi delle materie prime, in particolare energetiche, il gas su tutte. Un rialzo determinato da ragioni geopolitiche. Questo pone un problema strategico all’Europa, al di là dell’impatto inflazionistico di questi mesi: come può costruire non dico un’indipendenza, ma una minor dipendenza nel settore energetico?
Lei cosa suggerisce?
La prima mossa è cercare di avere alternative nelle forniture. Non solo, quindi, il gasdotto Nord Stream 2, ma anche il South Stream. Inoltre, bisognerebbe costruire rigassificatori per ricevere il GNL trasportato via mare. Andrebbe poi perseguita una diversificazione relativa alle fonti energetiche. L’Europa può essere più indipendente aumentando le energie rinnovabili green, che però sono costose e possono dipendere troppo dalle condizioni meteorologiche, oppure facendo ricorso al nucleare. In questo secondo caso, in attesa della produzione tramite fusione (secondo gli esperti, ci vorranno 20-25 anni), si possono utilizzare i mini reattori di quarta generazione, e comunque le centrali nucleari sono presenti in numero consistente fuori dai confini italiani.
Nel frattempo dovremmo aumentare l’estrazione di gas?
Questo è ovvio. Non si può continuare con l’assurda situazione per cui i Paesi che affacciano sulla costa orientale dell’Adriatico estraggono gas dal mare, mentre l’Italia no. Detto tutto questo, occorre non dimenticare il reale impatto dei costi del gas sulla bolletta energetica.
In che senso?
Invito tutti a leggere la propria bolletta del gas e scoprire così che la materia prima pesa per circa un terzo sull’importo totale. Gli altri due terzi dipendono, in parti uguali, da accise e Iva e da costi di distribuzione e gestione dei contatori. Il grosso del costo delle bollette garantisce quindi i margini per il cartello oligopolistico dei distributori e le entrate dell’Erario.
Quello che sta dicendo significa anche che i provvedimenti presi contro il caro bolletta potevano essere più efficaci?
Si poteva sicuramente fare meglio. Bastava stabilire, per due bollette bimestrali, il dimezzamento del costo di distribuzione e gestione dei contatori (con la possibilità di recuperarli una volta tornati a livelli normali i prezzi del gas) e l’azzeramento delle tasse: questo avrebbe portato ad aumenti delle bollette molto più contenuti.
Nell’ultimo mese lo spread è tornato ad aumentare. Come sarà il 2022 da questo punto di vista?
Le tensioni sullo spread dipendono largamente dalle fibrillazioni politiche più che da fattori economico-finanziari, come dimostra il caso del 2021: abbiamo avuto un enorme aumento di deficit e debito, ovviamente giustificato dal Covid, ma con la stabilità determinata dal Governo Draghi lo spread è rimasto tranquillo, almeno fin quando non sono sorte incertezze legate alla nomina del nuovo capo dello Stato. Dove lo spread può assumere elementi economico-finanziari oltre che politici è su un altro livello.
Quale?
Quello delle prospettive di medio-lungo termine. E in questo senso il 2022 è un anno cruciale sia sul piano interno che sul piano europeo. Sul piano interno dobbiamo mettere a terra i progetti del Pnrr e realizzare le quattro grandi riforme strutturali (fisco, giustizia, Pa e concorrenza) a esso collegate, in modo anche da ricevere le nuove tranche di risorse da Bruxelles. In sede europea, occorre rendere permanente il Next Generation Eu, cominciando ad avere un bilancio federale europeo con debito comune, e ridiscutere i parametri sulla politica di bilancio.
In che modo?
Il punto fondamentale, a mio avviso, è sostituire il concetto di avanzo primario, numero aritmetico privo di fondamenti teorici, con quello di avanzo di parte corrente. Il bilancio pubblico nella parte corrente deve essere in equilibrio e il deficit servire solo per investimenti pubblici, magari certificati dalla Bce per evitare trucchi contabili, con una clausola di premialità: per ogni 1% di avanzo corrente (che è risparmio pubblico) si può concedere un 2% di investimenti aggiuntivi utilizzando l’avanzo stesso ed emettendo titoli del debito pubblico. Questo è il vero rigore della finanza pubblica, perché così si ha un bilancio pubblico che sostiene occupazione e crescita in condizioni di equilibrio, rendendo sostenibile il rapporto debito/Pil, anche se elevato come nel caso dell’Italia.
(Lorenzo Torrisi)
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