I mercati hanno già scontato un forte rimbalzo delle economie statunitense ed europea nonché una crescita notevole della domanda globale. Ora puntano l’attenzione al 2022-23, cioè alla fine delle politiche straordinarie di stimoli fiscali (investimenti in deficit) e monetari (tassi a zero e acquisto dei debiti pubblici) temendo una recessione causata da tale transizione.
Timori giustificati? Dipende da cosa faranno le Banche centrali e da come i governi spenderanno le risorse stanziate a debito. Le prime hanno un problema di rialzo dell’inflazione e al loro interno iniziano a dividersi tra chi vuole anticipare il rialzo del costo del denaro e chi invece ritiene solo temporaneo il picco di inflazione – pesante negli Usa – e promuove un ritorno graduale alla normalità. Al momento prevalgono i secondi. Sul piano della politica fiscale gli investimenti sono massivi sia nell’Ue, sia in America e ciò, nello scenario fino al 2030, rende improbabile una recessione grave e/o duratura.
Tuttavia, al riguardo dell’Ue ci potrebbe essere un problema: il 60% circa degli investimenti a debito sarà fatto da progetti pubblici e solo un 2-3% delle risorse sarà usato per ridurre le tasse mentre la detassazione è il miglior stimolatore di investimenti privati. Poi gli Stati europei saranno obbligati a usare le eurorisorse per progetti di transizione ecologica, mediamente il 30%. Bene, ma i tempi programmati per l’ecotransizione sono molto più brevi di quelli necessari per il transito dei lavoratori dai settori tradizionali a quelli nuovi.
Non esistono ancora calcoli sull’impatto dell’ecotransizione, ma solo scenari generici molto ottimisti. Questi dovranno essere precisati per mitigare il rischio di chiusure aziendali e licenziamenti non riassorbibili.
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